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Calderoli: «Con Maroni mi dimetto anche io»

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Ieri il ministro del Welfare è tornato a minacciare le dimissioni se non passerà la riforma sul quale si è impegnato in quest'ultimo anno e ai sindacati che hanno espresso «forte preoccupazione» per il rinvio di mercoledì da parte del Consiglio dei ministri del decreto legislativo alle Camere ha inviato un messaggio di apertura dicendosi disponibile all'incontro chiesto, anche la prossima settimana. «Condivido le preoccupazioni espresse oggi dai sindacati sul rischio che la previdenza complementare venga affossata da interessi forti di alcuni settori finanziari — ha detto il ministro — È mia ferma intenzione vincere queste pressioni e completare la riforma che dà maggiore sicurezza sociale ai lavoratori, in particolare ai giovani». E con Maroni si è schierato anche il ministro delle riforme istituzionali, Roberto Calderoli: «Se Maroni dovesse dare le dimissioni preannunciate — ha detto a proposito dell'eventualità che nei prossimi 30 giorni non venga approvato definitivamente il decreto per il rilancio della previdenza integrativa — a seguire verrebbero immediatamente anche le mie». I punti sui quali lo scontro è più acceso restano quelli della portabilità o meno del contributo del datore di lavoro e l'ipotesi della «moratoria» nel versamento del Tfr ai fondi complementari per quelle imprese che non riuscissero ad avere i requisiti per l'accesso al credito «agevolato». Sulla richiesta di utilizzare il contributo del datore di lavoro in tutte le forme di previdenza complementare (e non solo quelle previste dai contratti) si è schierata fin dall'inizio l'Ania, associazione delle imprese di assicurazione, che chiede che il lavoratore sia libero di scegliere tra le forme di previdenza senza dover rinunciare, nel caso di adesione a una polizza, a una parte consistente delle risorse (il contributo del lavoratore vale circa il 20-30% del possibile versamento perchè è circa il 2% della retribuzione annua a fronte del 7% del Tfr). La richiesta di moratoria per le imprese che rischiano di non poter accedere al credito, secondo le regole del protocollo firmato tra il ministro del Welfare e l'Abi, è arrivata dalle Commissioni parlamentari ma è sostenuta dagli industriali preoccupati che la riforma non sia penalizzante per le imprese.

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