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Fausto e Romano, l'idillio è già finito

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Il segretario del Prc rimarca le differenze che lo distinguono dal leader del centrosinistra

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Lo ha fatto in modo garbato, secondo il suo stile consueto, ma Fausto Bertinotti l'ha detto chiaramente: io e Prodi non siamo la stessa cosa. A chi gli domandava maliziosamente se il suo partito dovesse essere considerato affidabile in una prospettiva di governo di centrosinistra, Bertinotti ha ricordato che, nel 1998, il suo sostegno al Professore venne meno quando quest'ultimo decise di adottare una politica di risanamento, anziché una di protezione dei salari. Secondo il segretario del Prc, quest'ultima sarebbe l'unica politica possibile per un governo di sinistra, mentre alla prima corrisponderebbe un segno di destra. Difficile pensare che questo schema sia esente da un fattore propagandistico dettato dalla famosa competition. Ma ciò non esclude che parole come «statalizzazione», «stabilizzazione», «lotta di classe su scala globale», più volte pronunciate ieri da Bertinotti, suonano come una spina nel fianco per chi pensava che questi termini fossero stati estromessi dal lessico politico. Spine che potrebbero trasformarsi in macigni, qualora fossero supportate da un consenso rilevante per il segretario di Rifondazione, ipotesi che molti tendono a non scartare. Lo sa bene ormai anche il diretto interessato il quale, quasi a giocare con i timori dei suoi avversari, ha commentato con un beffardo «buon auspicio» il risultato del sorteggio dei nomi da stampare sulla scheda per le primarie, dal quale è uscito vincitore. Meno soddisfatto il suo diretto avversario Romano Prodi che ieri ha dovuto incassare i fischi di alcuni giovani aderenti ad Azione universitaria (l'associazione universitaria di Alleanza Nazionale). Il Professore, arrivando all'Auditorium in cui si stava presentando la relazione annuale sullo stato delle università italiane, redatta dalla Conferenza dei rettori, è stato contestato dagli studenti. Il leader dell'Unione, però, non ha voluto dare troppa enfasi all'accaduto limitandosi a fare una battuta sulla sua posizione nella scheda elettorale nelle elezioni primarie. Professore, le hanno affidato il numero sei, cosa ne pensa? è stata la domanda dei cronisti. «Mi è capitato il sei, vorrà dire che gli elettori mi voteranno al numero sei».

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