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Un mese inutile dimenticando il mercato

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Qui il punto centrale è l'indipendenza della banca. Il suo statuto all'epoca di fondazione della Bce fu sottoposto anche al processo di convergenza legale. All'interno di quel Consiglio, proprio per rimarcarne il carattere di assoluta indipendenza, il Governatore della Banca d'Italia non è nemmeno rappresentante del suo paese. La questione dell'indipendenza della Banca d'Italia in quell'occasione fu discussa proprio per la possibilità di revoca del Governatore prevista dallo statuto. Revoca che però, fu spiegato, mai era avvenuta. Certo, ci fosse un delitto, una perdita di senno da parte del Governatore, la possibilità teorica di revoca era comunque prevista dallo statuto. Sulla questione del capitale, sempre in quella sede di convergenza legale, non si fece nessunissimo appunto od osservazione. Tanto meno su eventuali conflitti di interesse. Anche perché fu chiarito come il consiglio superiore della Banca d'Italia non avesse alcun potere sull'antitrust e tanto meno sulla vigilanza bancaria. Nomina il Governatore, è vero. Ma questa nomina non viene ratificata, viene semplicemente resa operativa da un decreto del presidente del Consiglio, promosso dal ministro dell'Economia e controfirmato dal capo dello Stato. Che cosa significa questo? Che se il Consiglio dei ministri non rende operativa la nomina, non ha però il potere di revocarla. Nè di indicare altre soluzioni. Ci fu un precedente in proposito con Fazio già Governatore della Banca d'Italia e Vincenzo Desario direttore generale proposto. Sulla nomina non c'era consonanza nel governo e nella sua maggioranza. Non la resero operativa per una ventina di giorni, ma non potevano proporre altri candidati. Il Governatore tenne duro e alla fine Desario divenne direttore generale. Ogni nomina, e quindi anche l'eventuale revoca, nasce per statuto da un processo interno. E questo a garanzia della indipendenza della banca. Quanto al patrimonio netto della Banca d'Italia, che insieme a quello di alcune banche centrali extraeuropee (la Fed in primis) e forse a quello della Banca di Svezia, è fra i più consistenti al mondo. Fra l'altro per calcolarlo va ricompresa una operazione sull'oro compiuta per venire incontro a interessi del Tesoro su titoli del debito pubblico. La grande consistenza di questo patrimonio è fra le garanzie principali di indipendenza dell'istituto. L'attuale azionariato non è in conflitto di interessi alcuno con la banca centrale proprio grazie alle norme statutarie che ne evitano l'ingerenza nelle attività più delicate. Fra l'altro è lo stesso modello preso a riferimento dalla Federal reserve sia a livello centrale che a livello federale. Basta rileggersi gli atti e le audizioni che precedettero la nascita della Fed fra il 1910 e il 1914. Anche molte altre banche centrali hanno lo stesso modello. Non la Banca di Francia, che però fu creata nel 1800 da Napoleone per piazzare titoli del debito pubblico. La Banca d'Italia invece nacque a Genova con una finalità totalmente diverso: aiutare i commerci e l'industria. È chiaro che se oggi il capitale dovesse passare in mano al Tesoro e alle Regioni quella indipendenza, che è innanzitutto indipendenza dal governo, verrebbe meno. Anche le nomine inevitabilmente verrebbero affidate a un processo decisionale che nascerebbe al di fuori della banca stessa, umiliandola. Già il Governatore della Banca d'Italia qualche tempo fa aveva immaginato soluzioni alternative sulla composizione del capitale salvaguardandone l'identità pubblica e al tempo stesso l'autonomia e l'indipendenza della banca. Queste soluzioni passavano per un graduale trasferimento (si pensava il 30 per cento del capitale) delle azioni dalle banche alle fondazioni. Ci voleva però il gradimento del consiglio superiore, e la procedura non era ancora stata avviata. Una cosa è sfuggita alla proposta di riforma della Banca d'Italia presentata

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