Fini e Follini litigano, Berlusconi gode
Silvio Berlusconi, dal vertice della Cdl a Palazzo Chigi, esce stanco, ma rafforzato. Il premier, appena tornato da New York, dopo una conferenza stampa e un caffé, si siede di fronte a Fini e Follini (Calderoli non c'è) e dice pochissime parole. Sul tavolo c'è la legge sul proporzionale. E per Berlusconi anche una sorta di rivincita nei confronti di chi gli ha messo i bastoni tra le ruote, mettendo anche in dubbio la sua leadership. Il Cav. alza lo sguardo verso i suoi alleati più litigiosi e resta ad ascoltare. Il segretario dell'Udc, che prima di andare a Palazzo Chigi aveva avuto una riunione con tutto lo stato maggiore del partito, rimprovera subito il leader di An di muovere ai centristi irritanti accuse di ribaltonismo. «Da sempre noi siamo proporzionalisti - avrebbe detto Follini - e consideriamo questa legge come un vantaggio per tutta la Cdl, non come un regalo fatto all'Udc». Follini quindi propone di dare il mandato al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta di avviare una consultazione con l'opposizione, Prodi in testa. Questo per rendere evidente che il proporzionale non è una priorità dei soli centristi, ma dell'intera coalizione e del governo. In questo modo il fallimento non sarebbe solo da mettere in conto all'Udc, ma a tutta la Cdl. Fini è totalmente contrario: «Non se ne parla. Il governo sta fuori», dice il vicepremier che già ha dovuto digerire a fatica l'idea in sé di tornare al proporzionale. «Sono qui per il bene della coalizione, ma bisogna vedere quali saranno le condizioni dell'accordo». Infatti il leader di An, pur ribadendo la sua disponibilità al dialogo, ha ricordato che «non sono negoziabili» i paletti posti dalla destra: bipolarismo, soglia di sbarramento al 4%, legge elettorale solo dopo il definitivo sì alla riforma costituzionale, il vincolo di coalizione unito all'indicazione del premier. Insomma, questa storia della trattativa con Prodi, con il governo che in prima persona viene coinvolto e si espone con proposte al centrosinistra, Fini non l'accetta proprio. «Ma come - controbatte allora Follini adirato -? Ma se fino a questo momento era Calderoli che stava lavorando alla bozza della legge...». La discussione tra i due si anima, alzano la voce e Berlusconi, da vero leader pacificatore, fa qualche timido tentativo di sedare i litiganti, ma lo scontro raggiunge toni così aspri, che anche lui si arrende e rimanda tutto a martedì prossimo. «Ci rivediamo, eh», dice ai suoi salutandoli e lascia aperta la possibilità del mandato a Letta, anche perché l'unico punto su cui sono tutti d'accordo è proprio che solo Letta potrebbe assumersi un ruolo così delicato. La soluzione si cercherà, ma se anche non si troverà, per Berlusconi quest'ultima mossa, ha già segnato una vittoria. Quella di isolare Casini, provando anche con i fatti, che resta lui, Berlusconi, l'unico leader possibile della Cdl. L'Udc, infatti, dopo aver flirtato con la Margherita e il centrosinistra adesso viene tacciato di «viltà» proprio dai diesse, mentre il partito di Rutelli e i prodiani considerano la riforma elettorale una «legge truffa». Insomma, per Casini e Follini la sponda Rutelli (o Mastella) non esiste più. E Berlusconi è più forte. Prima del vertice il premier, pur difendendo l'impianto generale della proposta di riforma elettorale («non si può assolutamente parlare di legge truffa»), aveva mitigato l'intransigenza del nuovo asse Fini-Pera (schierati contro un "ritorno al passato"), rassicurando l'Udc su alcuni punti: dialogo con l'opposizione, niente diktat e computo dei voti dei partiti sotto la soglia del 4% per l'assegnazione del premio di maggioranza. Ma la situazione nel corso dell'incontro è precipitata lo stesso. Un'occasione per un nuovo incontro potrebbe già esserci martedì, quando tutti si ritroveranno a Palazzo Wedekind per la prima riunione della