Il programma è una fiera delle banalità
E non ci sono effetti dirompenti nelle 16 pagine del libretto giallo, ovvero il programma per far ripartire l'Italia. Intanto alla presentazione del tir elettorale a Roma, il via ufficiale alla campagna per le primarie, si ritrova inzuppato sotto il nubifragio: «Abbiamo sempre cominciato con la pioggia nel '96 pur avendo cominciato dal Salento pioveva, pioveva, pioveva. Ha portato bene e speriamo che porti bene anche stavolta». In verità, qualcosa la dice. Preoccupante. «L'obiettivo è cercare di mettere insieme gli italiani per fare un salto in avanti. La sfida la conosciamo, dobbiamo cambiare noi stessi per vincerla». Dimenticando, forse, che i cocci da rimettere assieme sono quelli di un centrosinistra lacerato, diviso e fratricida, sulla sua leadership. Tante chiacchiere. Molta paura. Perché Bertinotti fa davvero sul serio. E il professore lo sa. «Un voto in più basta, molti voti in più bastano ancora di più», esorcizza l'aspirante premier, l'esito - scontato ma non rassicurante - delle primarie. La carta vincente dovrebbe essere il programma, ma a rileggere le parole pronunciate dal tir sembra che la "fabbrica" bolognese da lui allestita non abbia prodotto i risultati sperati. «Le primarie sono fatte per discutere in pubblico le linee generali del programma e danno forza a chi le vincerà per la linea definitiva. Ora è un programma generale che costituisce la base, se vincerò, del programma da presentare a dicembre che sarà invece quello definitivo». Per dire qualcosa di politicamente affascinante, Prodi, sceglie comunque di giocare la carta dei sentimenti e si mette nella scia dell'emozione collettiva per il disastro di New Orleans. «Quella città mostra le conseguenze di quando si rompe una rete di protezione sociale». E rilancia sul tavolo verde della demagogia una frase ad effetto: «Le reti di tessuto collettivo devono essere difese e rafforzate». Parla volgendo lo sguardo a Sud: «Noi non abbandoneremo il Mezzogiorno, cercheremo di costruire punti di forza in modo che il Sud rientri al centro dell'economia del Mediterraneo e dell'Italia». Nella fiera del già detto e ascoltato la fa da padrona la rassicurazione al popolo di centrosinistra sui rischi di instabilità che nel 1996 gli tirarono un disastroso tranello. Questa volta, dice «i problemi li affronteremo tutti prima, elaboreremo un programma comune condiviso e sottoscritto da tutti, che diventerà il programma di tutta l'Unione». Poi il tono si fa serio e il concetto diventa ultimatum: «Un programma comune vuol dire che non ci saranno desistenze, né saranno possibili dissociazioni successive». Per sperare in qualcosa di nuovo, Prodi invita all'attesa perché al momento «abbiamo la necessità di farci conoscere e di spiegare all'opinione pubblica cosa intendiamo fare». Intanto si può ingannare il tempo sfogliando il libro giallo. Ma anche qui, tra le righe nulla di nuovo all'orizzonte. «Noi vogliamo ridare fiducia è serenità al Paese. Siamo fermissimi nella lotta al terrorismo, alla criminalità e alla legalità costruendo l'equilibrio più avanzato possibile tra la tutela dei diritti e la garanzia della sicurezza». In parole povere? Si vedrà. Intanto per rimettere in moto l'Italia, propone di "ridurre i costi delle attività economiche; rimodellare il sistema delle imprese; puntare sulla coesione sociale come fattore di sviluppo; liberare energie e risorse; risanare i conti pubblici". E sulla delicata questione morale, il precetto recitato da Prodi nel suo libretto, di maoista ispirazione, è uno soltanto: «Dobbiamo ricostruire una diffusa etica della responsabilità, che alla giusta tutela dei diritti accompagni la consapevolezza dei doveri». Vincere si può vincere, ma dopo? Se lo chiede anche De Mita: «Non avremo difficoltà a vincere, anche perchè le elezioni le perde Berlusconi. Ma io mi preoccupo del dopo. Che facciamo? Non ci stiamo preparando allo sforzo di disegnare un programma di governo credibile». Lo ha detto uno che di sfide elettorali se ne intende. E. G.