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E pensare che nel 2002 Fausto definì l'ex presidente della Commissione Ue un «Berlusconi pallido»

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La notizia, per la verità, è una non notizia. Da tempo, infatti, all'interno e all'esterno del centrosinistra si condanna la «bertinottizzazione» del Professore (o se preferite la «prodizzazione» del leader del Prc). Così quando ieri Fausto Bertinotti, ospite di Repubblica Radio, ha dichiarato che «con Prodi il punto di maggiore differenza è sulle politiche sociali e sindacali» mentre sulla politica estera «ci sono molte convergenze» la cosa non ha destato particolari sussulti. Dopotutto, in questi mesi, le differenze tra i due sono diventate sempre più sfumate. Così, dopo essersi schierati al fianco dei movimenti pacifisti, dopo aver concordato sul ritiro delle truppe dall'Iraq, sulla condanna unilaterale della riforma costituzionale della Cdl e sulla possibilità di cancellare la riforma Biagi una volta arrivati al governo, la premiata ditta Prodi & Bertinotti annuncia la sua linea comune di politica estera. Chi l'avrebbe detto alla vigilia di quell'ottobre 1998 quando proprio il Prc se ne andò facendo cadere il primo (e per ora unico) governo Prodi. Per la verità i maligni vedono proprio in quello sgambetto la ragione di tanto feeling. Il Professore non avrebbe nessuna intenzione di ripetere quell'esperienza fallimentare e quindi starebbe giocando d'anticipo cercando di legare a sè Bertinotti. Ma ripercorriamo le tappe di questo rinnovato idillio. Anno 2001, la Cdl ha appena vinto le elezioni e il Prc che si è presentato slegato dalla coalizione di centrosinistra, non si sente affatto responsabile della sconfitta dell'Ulivo. Anzi, Bertinotti conferma che, quello del 1998, è stato un vero atto di «rifondazione» della sinistra italiana. Anno 2002. Bertinotti ribadisce il suo no alla piattaforma dell'Ulivo e definisce Prodi come un «Berlusconi pallido». Anno 2003 Bertinotti è fedele alla linea: «Senza di noi Prodi non va da nessuna parte». Anno 2004, è il momento della pace. I due nemici si riavvicinano inesorabilemente in occasione della guerra in Iraq. È lo stesso Bertinotti ad analizzare la situazione. Intervistato da Repubblica il leader del Prc dichiara: «Il fatto politico nuovo è che si è verificato un terreno di dialogo sulla guerra. Non è che Bertinotti e Prodi un giorno del 1998 hanno deciso di rompere e un altro giorno, molti anni dopo, di ricongiungersi. È accaduto che la guerra abbia cambiato le coordinate della politica». Il processo di riavvicinamento si conclude simbolicamente il 20 settembre quando il presidente uscente della Commissione Europea e il segretario di Rifondazione Comunista si incontrano alla festa di Liberazione per partecipare ad un dibattito. L'atmosfera è cordiale al punto che Prodi, interrogato sulla possibilità che l'incontro rappresenti un nuovo matrimonio tra i due, risponde: «Vedremo, se son rose fioriranno». Alla fine della serata il matrimonio (d'interessi?) è celebrato e i due cominciano il lungo cammino verso le politiche del 2006. Con Prodi che veste i panni del «signor no» attaccando sempre e comunque il Governo quasi fosse un Bertinotti qualsiasi. E Bertinotti che arriva addirittura a rinunciare ad una della parole chiave della sua storia politica: la patrimoniale. Nella relazione al congresso del Prc, infatti, il segretario annuncia che non parlerà più di patrimoniale, ma di un «sistema fiscale più equo». E il Professore approva incoronando Rifondazione come «un partito riformista». Da allora l'amore tra i due non ha subito altri scossoni. Anzi, il segretario ha vinto su ogni fronte, ottenendo che tutte le sue istanze venissero recepite all'interno del Progetto dell'Unione. Certo, c'è stata un po' di maretta per la candidatura di Bertinotti alle primarie. Ma su tutto ciò la frase forse più risolutiva è quella di Luciana Sbarbati dei Repubblicani europei che, in un eccesso di sincerità, si è domandata: «Bertinotti alternativo a Prodi, su cosa?»

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