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L'ex presidente della Repubblica: «La scalata Unipol? Magari andasse a buon fine»

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Parla Francesco Cossiga: «Non credo che questa operazione così rabberciata avrà successo» «Il Ppe italiano? È tutto un bluff»

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L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, smorza subito gli entusiasmi dei "neo centristi". Ma come Presidente, proprio lei che è stato uno dei soci fondatori del Ppe? «In verità io ho sempre creduto alla possibilità di far nascere una sezione italiana del Ppe. Ricordo che una volta Berlusconi mi chiese un consiglio e io gli dissi di dar vita ad una Costituente della sezione italiana del Ppe. Gli proposi anche un nome». Quale? «Il partito Democratico delle, o della, Libertà». E poi? «Berlusconi mi disse: "Francesco tu potresti essere il Presidente di questo nuovo partito", ma io gli risposi che, al più, avrei potuto presiedere il comitato Costituente che avrebbe convocato tutti. Anche l'Udeur di Mastella e gli ex popolari che erano confluiti nella Margherita». Berlusconi non le diede retta. «Io conosco bene Silvio Berlusconi e, pur non essendo un suo elettore, gli sono amico. Ma lui non chiede mai consigli perché gli servono. Sa qual'è l'unico modo perché Berlusconi ascolti un tuo consiglio?» Quale? «Dirgli: "Come tu un anno fa hai giustamente detto..."» Ma adesso c'è Rotondi? «L'amico Rotondi vuole veramente dar vita ad una nuova Dc. Ma la cosa è impossibile perché la Dc era il prodotto eccezionale e di contingenze di politica interna». Quindi la proposta naufragherà? «Non credo che questa operazione rabberciata in questo momento avrà successo. E poi la cosa non mi interessa più visto che ormai mi sono dimesso dal Ppe». Allora perché è stata lanciata? «Credo sia più che altro un modo per sopire la polemica tra Berlusconi e Casini». Crede che Casini abbia sollevato questo polverone per un fine "elettorale"? «C'è anche un interesse elettorale. In questo senso Casini e il mio carissimo amico Clemente Mastella sono uguali. E fanno bene». Quindi, secondo lei, c'è dell'altro? «C'erano quattro possibilità per dare quel segno di discontinuità forte chiesto da Casini: o si diventava tutti giustizialisti, o si diventava tutti liberali e si impediva che i contribuenti pagassero per la decima volta i debiti della Fiat, o si cambiava fronte in politica estera ritirando le truppe dall'Iraq, o si cambiava leader del centrodestra». Se Atene piange, Sparta non ride. Nell'Unione impazza la questione morale. Lei che giudizio s'è fatto? «Io non capisco perché i soldi dei coltivatori diretti sono meno buoni di quelli fatti fabbricando scarpe o vendendo frigoriferi». Quindi è favorevole alla scalata Unipol? «Io sono a favore della scalata, anzi credo che, qualora andasse a buon fine ridarebbe forza a Bnl. Ma il problema è un altro». Quale? «Il nocciolo della questione è il controllo del Corriere della Sera. Le persone che fanno parte del patto di sindacato del Corriere sono le stesse che si trovano in Bnl. Non vogliono perderlo e quindi sollevano la questione morale». Crede che l'attacco su Unipol sia un attacco ai Ds? «Un attacco per limitare i Ds». Perché? «Esiste un partito prodiano sostenuto dai poteri forti dove c'è un leader mediatico che è Paolo Mieli, e un leader finanziario che è Giovanni Bazoli. Manca un leader industriale». E Montezemolo? «Montezemolo è il primo presidente di Confindustria che non è un industriale. Sa cosa mi disse di Fiat prima di essere eletto?» No, cosa? «Mi disse: "Francesco dimenticati anche del nome della Fiat. Fiat è finita. Aveva ragione Maranghi quando diceva che di Fiat bisognava salvare la parte forte facendo il polo di eccellenza"». Chi potrebbe essere, allora, il leader idustriale che manca all'appello? «Credo Della Valle o, in alternativa, Merloni». Questo è il partito che spinge per la vittoria di Prodi, ma sarà Prodi a vincere le prossime elezioni? «Oggi c'è ancora una prevalenza dell'Unione prodiana, ma credo che alla fine vincerà chi riuscirà ad uccidersi dopo l'altro. Ovvero coloro il cui suicidio sarà anticipato dal suicidio dell'altro».

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