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Regioni, il nuovo festival dello spreco

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In cinque anni gli impegni di spesa sono saliti del 24 per cento, i pagamenti del 21 per cento

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Ipertrofici apparati di sottogoverno. È necessaria una «radicale revisione del modello amministrativo regionale». Il grido di allarme che sulle colonne dell'Indipendente ha lanciato il professor Sandro Stajano, docente di diritto costituzionale all'università Federico II di Napoli, secondo cui è proprio la Costituzione sin dal 1948 ad essere stata violata laddove prevedeva competenze a Province e Comuni mai assegnate, appare necessario e tempestivo. Necessario perché, nell'ipotrofica stagnazione dell'economia nazionale, il governo si trova sempre più spesso in contrasto con i governatori (invece che in collaborazione come sarebbe auspicabile) attraverso «attacchi ad orologeria». Tempestivo, perché i dati che provengono da organi indipendenti di analisi della spesa pubblica allarmano, in particolare, per la gestione della macchina amministrativa a livello regionale e locale. Proprio di qualche giorno fa sono state due interessanti relazioni del nostro massimo organo di controllo, la Corte dei conti, sullo stato della finanza pubblica locale e regionale. Un disastro. In termini economici. Ma, quel che è peggio, un disastro in termini politici ed operativi. Sotto accusa, soprattutto, il sistema dei controlli interni tanto voluti dagli esegeti della devolution. Dai dati della Corte emerge che formalmente tutte le Regioni hanno rispettato il patto di stabilità. Eppure la spesa è cresciuta. Di ben il 5,4% in più nel 2004. Sapete dove? Nelle spese correnti. In tutte quelle spese necessarie al funzionamento della macchina amministrativa. Parliamo di stipendi, affitti, macchinari, attrezzature. Ci riferiamo ad assunzioni, pulizie, servizi essenziali esternalizzati, spese telefoniche, etc… Nel solo quinquennio 2000-2004, un bel +24% di aumento negli impegni di spesa e un poderoso +21% nei pagamenti. Quel 24% si riferisce ad futuri oneri le cui somme sono state appunto impegnate nell'esercizio in corso. E dove sono andati questi soldi? Principalmente nel carrozzone di Asl e servizi sanitari(+26,8%). Qualcuno dirà: beh, saranno aumentati le prestazioni sanitarie. Due dati per tutti smentiscono l'obiezione: c'è stato un bel +16% di aumento negli impegni di spesa per la spesa corrente non sanitaria, mentre è avvenuta una contrazione del 3,6% nei pagamenti. E su quest'ultima voce che il giudizio della Corte dei conti appare positivo in termini di recupero di efficienza. Un dato che sembra positivo se ottenuto mantenendo gli attuali livelli di servizio; negativo se, come spesso avviene, si è semplicemente chiuso il portafoglio. Quindi, si sono diminuite le effettive prestazioni, a meno di non lavorare gratis, ovviamente. Insomma il giudizio negativo degli analisti, a cominciare da Standard & Poor's, contro il Patto di stabilità dev'essere interpretato non solo come una tirata d'orecchi ai ministri che si sono succeduti alla guida dell'Economia, Siniscalco e Tremonti, ma anche una sferzata ad un sistema amministrativo locale in palese difficoltà a garantire standard minimi di servizio qualitativamente accettabili. Ma quel che è più incredibile è che l'aumento della spesa è coinciso anche con un'esplosione della tassazione locale. I conti degli enti locali, dunque, sono sballati nonostante siano esponenzialmente cresciute le entrate. È giusto della settimana scorsa lo studio della Cgia di Mestre secondo cui in dieci anni, dal 1994 al 2004, le entrate fiscali degli enti locali (Comuni, Province, Comunità montane, etc. ma sono escluse le Regioni) sono aumentate del 106,5%, passando da 36.991 a 89.851 milioni di euro. L'impennata delle tasse locali, secondo gli artigiani mestrini, è dovuto, soprattutto, «al fatto che sino alla fine degli anni '80 la finanza locale era molto contenuta e solo successivamente le competenze e i servizi offerti dagli enti locali sono aumentati. Sicuramente molte amministrazioni locali hanno calcato la mano e non sempre alle imposte pagate sono stati corrisposti dei servizi alla cittadinanza qualitativamente e quantitativamente accettabili. Il decentra

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