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L'incubo Argentina nei conti di Asl e ospedali

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Ciò sembra portare il nostro Paese ad un singolare uso a fini autoreferenziali della cosa pubblica. Sarebbe troppo facile tirare fuori il caso delle lettere spedite ad esempio dal leader della Margherita, Francesco Rutelli, ai romani poco prima della sua candidatura a premier. Attività questa rispettabilissima se non si considerasse il semplice dettaglio che le missive furono pagate con soldi del comune di Roma. Per dirla alla Andreotti, il «potere» sembra logorare così tanto chi non lo ha, che questi, al momento della successiva elezione, famelicamente bramoso di affermare se stesso e la propria parte politica, rischia di recitare la parte dell'orso. Per la Corte dei conti, nella gestione della cosa pubblica locale, in particolare nella Sanità, perniciosissimi sono gli effetti pratici di tanta voracità: aziende sanitarie stracariche di personale, servizi inadeguati, liste di attesa indecenti per una terapia, sviluppo di un sistema sanitario pubblico/privato dove ci sono, troppo spesso, più ombre che luci. Certo, i magistrati contabili usano un linguaggio più tecnico. Parlano di politiche regionali di contenimento delle spese e d'indebitamento «insoddisfacenti». Ma il buco di 650 milioni di euro del 2004 nella Sanità c'è tutto. Come ci sono tutte le inefficienze, le pinze negli intestini, le code all'addiaccio o sotto al sole per un «numeretto». In perfetta par condicio, oltre il 58% delle perdite sono riconducibili a Campania, Lazio e Sicilia. In realtà alcuni passaggi della relazione della Corte dei conti, almeno per gli enti locali sembrano positivi. I magistrati contabili parlano di un risultato positivo in termini del rispetto del Patto di stabilità. La Corte sembra evidenziare un crescente livello di responsabilità: dagli enti locali al governo centrale. Una responsabilità quella di Roma in gran parte generata dai ripetuti tagli assegnazione di Bilancio degli ultimi anni. Le stesse Regioni sono però esse stesse vittime di questo sistema contorto. È nella incertezza del quadro istituzionale e nelle mancate deleghe in tema di fiscalità, è, per la Corte, il nocciolo del problema. Gio Sca.

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