Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

L'esperto di comunicazione: contro Bankitalia tutti gli elementi della campagna denigratoria

default_image

Fazio, attacco deciso a tavolino

  • a
  • a
  • a

Eppure basterebbe poco per capire che dietro l'assedio a via Nazionale ci sono tutti gli elementi di una campagna di denigrazione: notizie ufficiose date con il contagoccie e riproposte quotidianamente; l'abuso di uno strumento suggestivo come le intercettazioni telefoniche; la scelta del periodo estivo, quando un po' tutti sono più disposti a sbirciare dalla serratura dei potenti». Va giù deciso Nicola Piepoli, uno dei guru della comunicazione e della ricerca sociale, mentre con fare sbigottito analizza il tormentone del momento: l'assalto senza precedenti di una parte della stampa nazionale al governatore della Banca d'Italia. Fazio è accusato di aver tradito il ruolo di arbitro nelle vicende Antonveneta e Bnl. Ma questo è chiaramente un ruolo che non esiste, visto che il governatore della Banca centrale deve fare scelte e non semplicemente firmare le proposte dei suoi uffici. Eppure Fazio resta nel mirino di Sole 24 Ore (quotidiano della Confindustria), Corriere della Sera (in mano a un patto di sindacato dove spiccano i vertici dell'associazione degli industriali), La Repubblica (controllata dal gruppo De Benedetti, nume della sinistra e sodale nel vecchio salotto buono della finanza italiana) e pochi altri periodici un po' più innocui (come Milano Finanza, sostenuta dalla Capitalia di cesare Geronzi). «Qui non c'è niente da stare allegri - spiega Piepoli - perchè questo caso dimostra due cose gravi: tranne il re senza corona che siede al Quirinale, ormai salito a un livello di considerazione inarrivabile tra i cittadini, tutte le altre istituzioni sono in pericolo. E poi - aggiunge - oggi in Italia non abbiamo gli anticorpi per neutralizzare questo genere di attacchi». Ma come si fa, senza elementi di reato, a costruire una campagna tale da spingere nella polvere una figura di prestigio come il governatore della Banca d'Italia? «All'inizio è stato certamente il caso: si butta il sasso nello stagno e si vede l'effetto che fa», spiega Piepoli ricordando che Pasteur aveva detto già moldi decenni fa che «Il caso aiuta le menti preparate». E visto che la Banca d'Italia non è certo tra le istituzioni più comprese e amate nel Paese, «si è proseguito utilizzando uno strumento fin troppo semplice e suggestivo, come le intercettazioni telefoniche. Una scelta non casuale, visto che siamo in estate e proprio adesso aumenta la voglia di gossip. Così non è più essenziale indicare quali sono gli elementi di reato, ma basta dire che tizio e caio si parlano, a tarda ora, scambiandosi informazioni di prima mano. Anche se ciò è lecito, chi legge è portato naturalmente a pensare che dietro c'è qualcosa di illegale. E il gioco è fatto». Per Piepoli però è opportuno guardare le cose con più attenzione. «Ma di cosa si accusa Fazio in fin dei conti? Di aver favorito i capitali italiani rispetto a quelli esteri? A leggere le intercettazioni telefoniche in questo senso, qualcuno avrebbe proposto il governatore per una medaglia. Ma posso fare un esempio personale? Nel settore della ricerca sociale, in Italia, solo 40 anni fa il cento per cento dei capitali era in mano a imprese italiane. Oggi l'85% è dei grandi gruppi esteri. Bel guadagno che abbiamo fatto». Per Piepoli però il problema è anche un altro: In Inghilterra, culla del diritto, nessuno si è schierato contro la polizia dopo l'assassinio del ragazzo brasiliano scambiato per un terrorista. Evidentemente di fronte a certe situazioni (come il terrorismo) si cancellano secoli di tradizioni. «Non c'è da stupirsi allora se in Italia non ci sono gli anticorpi a certe brutte situazioni».

Dai blog