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DeBenedetti

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Quando non era né a discutere di affari né a «cazzare» vele al vento, varcava soglie di studi legali, aule di tribunali e palazzi di giustizia. Perché Carlo De Benedetti, l'Ingegnere, ha dovuto fugare non pochi sospetti sulle sue attività finanziarie mosse da una dozzina di procure italiane. Si è visto recapitare un bel po' di avvisi di garanzia e di comparizione. Normale, si direbbe, quando si maneggiano soldi e la tua attività ha un solo fine: fare soldi. In effetti, De Benedetti ne è uscito alla fine sempre con la fedina immacolata. Nulla più che sospetti, messi all'angolo, ma che non hanno mai fatto gridare allo scandalo i suoi ammiratori siano essi politici, finanzieri, intellettuali o protagonisti dell'informazione, protagonisti, oggi, invece, di una feroci levate di scudi contro chiunque tenti di avvicinarsi a qualche bene e proprietà - ideologica e materiale - della sinistra. Ma questa è storia di questi giorni, un'altra storia. Eppure, tornando all'Ingegnere torinese, bisogna ricordare che ha rischiato davvero di essere messo alle corde dalla magistratura con accuse pesantissime per un imprenditore: insider trading e corruzione, quest'ultimo reato contestatogli per l'uscita dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi dopo appena 55 giorni di vicepresidenza. La sentenza è stata poi annullata in Cassazione. E ha dovuto condividere - suo malgrado - la tempesta di Tangentopoli con buona parte dei protagonisti della Prima Repubblica, qualcuno sopravvissuto a fulmini e saette come il candidato premier del centrosinistra, Romano Prodi. Col Professore bolognese, infatti, ha diviso i tormenti del caso Sme, un «affaire» di Stato sul quale la politica di allora fece i salti a quattro per impedire la svendita di un bene nazionale tra amici, vicini tra l'altro di schieramento essendo Prodi e De Benedetti sotto l'ala protettiva di Ciriaco De Mita. Sono gli anni nei quali l'Ingegnere è sotto il fuoco dei comunisti con il Pci che gli contestava il blitz nell'alimentare. Tutto salta, come insegnerà poi la storia, con la vicenda che porta i suoi protagonisti dritto in tribunale ma senza conseguenze. Rischia di avere invece conseguenze tra il 1996 e il 1998, invece, la vicenda Banco Ambrosiano. Il 10 giugno del '96 la Corte d'Appello di Milano conferma la sentenza del processo di primo grado al termine del quale De Benedetti viene condannato a sei anni e quattro mesi di detenzione, ma riduce la condanna a quattro anni e sei mesi. L'Ingegnere - allora difeso da Giovanni Maria Flick - è sotto accusa per circa 82 miliardi di lire, ovvero la «liquidazione» ottenuta da Roberto Calvi dopo la breve parentesi ai vertici dell'Ambrosiano. De Benedetti arriva fino al massimo grado di giudizio con l'assistenza legale di Luigi Saraceni, comunista dentro e fuori, e Giuliano Pisapia suo storico difensore. La quinta sezione penale della Cassazione il 22 aprile 1998 accoglie le tesi difensive, non rinvia ovvero non ordina un nuovo processo e annulla quindi le due precedenti sentenze. De Benedetti ne esce pulito, innocente, dopo un iter giudiziario di 16 anni durante i quali ha continuato a fare il suo mestiere: make money. A De Benedetti, poi, nei panni di teste, il 25 giugno del 2001 sono bastate due ore e un blocchetto d'appunti con nomi, date e cifre per difendersi sul caso Sme. In realtà nell'aula del tribunale di Milano non dice molto. Ufficialmente non parla di richieste di tangenti, infatti un'inchiesta successiva della Procura di Roma non accerterà alcunché di sospetto. Ma l'Ingegnere parla molto durante le assemblee della Buitoni e alle riunioni di sindacato. Alla domanda dell'avvocato di Berlusconi Gaetano Pecorella. «Lei fece presente, per esempio a Prodi o a qualche autorità giudiziaria, che aveva ricevuto questo invito a pagare tangenti?», quel 25 giugno De Benedetti risponde: «No» e ricorda poi di averne parlato in maniera indiretta in occasione dell'assemblea Buitoni. Mezz'ora, invece, sono bastate per all

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