«Rognoni si muove? Meglio tardi che mai»
«Su questi temi - ha aggiunto il Guardasigilli -, il Csm avrebbe dovuto muoversi già da molto tempo». In realtà più volte in questi giorni Castelli aveva puntato il dito contro quello che è diventato un vero e proprio business. «L'anno scorso - aveva detto il ministro - abbiamo speso più di 269 milioni di euro per le intercettazioni telefoniche, cifra enorme che sta raddoppiando ogni tre anni, è chiaro che non si può proseguire su questa strada». Poi, in merito alla possibilità di norme di contenimento dell'uso delle intercettazioni, il ministro aveva osservato che una regola era stata proposta e messa in atto due anni fa quando «abbiamo trasformato le spese per le intercettazioni, e non solo queste, in una spesa obbligatoria che ha un capitolo di bilancio ben preciso e quindi ha una provvista ben definita». «Non si possono - aveva concluso - spendere i soldi dei cittadini senza alcun controllo». Ieri quindi, è arrivato, il segnale tanto atteso. Ma c'è chi giura che ci sarà molto da lavorare soprattutto pensando ai numeri evidenziati da un recente dossier elaborato dai tecnici del ministero della Giustizia. Secondo il documento, infatti, in Italia sono tra le 12 e le 14 mila le utenze telefoniche controllate ogni giorno (tra apparecchi fissi e cellulari) mentre ogni anno vengono registrate le conversazioni di 300 mila italiani. Ma sono i costi a preoccupare l'amministrazione statale. Nel 2001, secondo i dati citati da Castelli, erano stati spesi 165 milioni di euro (32 mila utenze intercettate), 230 milioni nel 2002 (45 mila) e 255 mila nel 2003 (oltre 77 mila). Con costi medi che variano da città in città. Si va dai 10 euro a utenza a Roma, ai 25 di Genova fino ai 50 di altre città. L'indagine aveva comunque evidenziato delle situazioni di «eccellenza». Come la procura di Perugia che, nonostante alcuni importanti indagini svolte, ha speso in intercettazioni solo 635.000 euro.