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Si chiude un'era Schiaffo a Fini

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L'ha anche dato, in verità. Ma intanto l'ha incassato. Il primo. E sembra non sarà l'ultimo. La direzione nazionale di An di ieri mattina si è conclusa con due voti all'unanimità. Il primo sulla relazione di Fini, il secondo su un ordine del giorno che, dopo un lungo tira e molla, finisce con il sancire una piccola bocciatura per il leader da parte dei colonnelli. Ma il dato che emerge da tutta la riunione della direzione del partito di destra è una distanza sempre più incolmabile tra il leader e l'intera classe dirigente. Una distanza che plasticamente si può riassumere nella fotografia della conclusione. I colonnelli che escono e assieme vanno a pranzo in un ristorante; il leader che resta con i giornalisti e i pochi fedelissimi per una conferenza stampa. Il tutto dopo una mattinata di punzecchiate, colpi bassi e qualche battuta salace. In un clima surreale in cui tutti parlano di politica e tutti evitano l'argomento principale che comunque aleggia per tutta la mattinata: la questione interna, un partito sempre più in crisi. È forse per questo che più che l'inizio o l'esito, di tutta la direzione, diventa più importante quello che accaduto in mezzo. Fini si presenta ai cento che dirigono il suo partito con una relazione da leggere: una novità anche questa perché il presidente di An, anche nei momenti più difficili, ha sempre parlato a braccio. I capi delle due principale correnti, Destra protagonista (Gasparri e La Russa) e Destra sociale (Alemanno e Storace), invece, si presentano con un ordine del giorno in cui dettano la linea del partito. Nel documento, in verità, non ci sono particolari punti di divergenza con Fini. Si ribadisce la linea per il maggioritario con qualche apertura per il proporzionale, via libera al tatarellum. Viene sancito il via libera alla costituente del partito unico. E poi difesa della vita, valorizzazione dell'idea di patria, nuova impulso per la sicurezza dei cittadini, rilancio della lotta agli stupefacenti. Il punto di maggior divisione avviene sull'assetto interno. Nell'ordine del giorno le due componenti (ma è una richiesta che arriva soprattutto da Destra protagonista) puntano a togliere un potere al presidente, quello di nomina dei coordinatori regionali. Si chiede di «avviare gradualmente la più volte annunciata "regionalizzazione" del partito (richiamata dal presidente Fini nell'ultima assemblea nazionale) che in attesa di compiute riforme statutarie, potrebbe prevedere sperimentalmente l'elezione diretta dei coordinatori regionali in alcune regioni pilota». I leader regionali, al momento, sono di nomina diretta e fiduciaria di Fini. Togliere a lui quel potere sarebbe un po' spuntargli le armi, un po' come sfilargli in parte il partito di mano. Il vicepremier capisce tutto e si batte per far cancellare quell'inciso dal documento. In altri tempi e in altre occasioni avrebbe ordinato e basta. Stavolta è costretto a fare la voce grossa, a usare toni gravi: «Con tutto il rispetto, penso di avere una proposta più seria da fare». E cedere un po', e incassare lo schiaffetto. Non è un punto secondario quello dei coordinatori regionali. Fini ne ha rimossi alcuni colpendo indirettamente i dirigenti del suo partito. Ha tolto di mezzo Alfredo Mantovano dalla Puglia, «reo» di aver criticato nella questione dei referendum, e piazzando Adriana Poli Bortone, sindaco di Lecce, una donna di ferro che non ama il suo predecessore. Anche se la situazione più delicata resta quella della Lombardia, feudo indiscusso di La Russa, dove è stato mandato a casa il larussiano Massimo Corsaro per far posto alla nemica di La Russa Cristiana Muscardini: si prevedono scintille. Forse fuoco e fiamme. La novità più sostanziosa però è nel fatto stavolta che i colonnelli vanno avanti lo stesso, raccolgono le firme e riescono a farsene mettere ben 55 sui 108 componenti della direzione. Ottengono così la maggioranza. Una maggioranza che per la prima volta viene messa nera su bianco, sancita su carta come non accadeva dalla fondazione di An. Fini sente puzza di bruciato,

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