Giustizia, passa la Riforma di Castelli

La Camera approva con 284 «sì», 219 «no» e 4 astenuti il provvedimento che, dopo aver incassato la fiducia, torna di nuovo al capo dello Stato per la firma. Soddisfatti il presidente del Consiglio («Non è certo quello che avremmo voluto», ma «è meglio di niente») e il ministro della giustizia Roberto Castelli («È un altro impegno mantenuto da questo governo»). Protestano invece l'opposizione, l'Anm, i penalisti, che convocano uno sciopero per il 19 settembre prossimo. Prima si vota la fiducia e poi il testo nel suo complesso. Le dichiarazioni di voto per la fiducia cominciano in Aula alle 14. Il primo a intervenire è Paolo Cento. L'Aula è quasi deserta e non c'è Casini a presiedere. Nessun iscritto a parlare per l'Udc e nessun centrista tra i banchi. Intercettato in Transatlantico, il presidente dei deputati Udc Luca Volontè spiega che l'assenza di un relatore del gruppo è dipesa solo da un «disguido tecnico». Mentre il leader Marco Follini è più esplicito: «C'è un voto di fiducia. La nostra dichiarazione sta nel voto». E alla domanda se allora si tratta solo di «scarso entusiasmo» risponde: «Ora non pretendete troppo...». Più «sibillino» invece il sottosegretario Michele Vietti. Cerca di sfuggire ai cronisti, poi, una volta «raggiunto», a chi gli chiede se vota convinto replica: «Non entriamo nella psicanalisi. Un conto è la politica, un conto è la psicanalisi...». Alle 17,42 la riforma incassa la fiducia. Ma manca ancora il voto finale. E per questo servono altre dichiarazioni di voto. Tocca a Volontè assolvere questo compito. E stavolta è più chiaro: «Il voto di fiducia - dichiara - è segno di buon senso» anche perchè «arriva a pochi giorni dal tentativo surrettizio del Csm di introdurre una sorta di tricameralismo». Il premier è alla Camera per il voto di fiducia, ma anche per una serie di colloqui con il presidente Pier Ferdinando Casini e con il ministro degli Esteri Gianfranco Fini sulla legge elettorale. È soddisfatto per il «sì» al provvedimento. «Meglio di niente» dichiara. Poi aggiunge: «Certo non è quello che avremmo voluto fare sin dall'inizio, ma è un primo importante passo verso una giustizia giusta e processi che siano contenuti nel tempo». Quindi una «stoccata» ai Pm «che hanno una posizione troppo vicina ai partiti dell'opposizione». Quando è in Aula, dopo aver votato la fiducia, si avvicina a Castelli. Gli dà una pacca sulle spalle, gli parla all'orecchio e poi gli fa i suoi complimenti. Castelli è contento. La «sua» riforma è al traguardo. Indossa un abito chiaro e non ha nemmeno la cravatta verde-padano d'ordinanza. Al suo posto ne sfoggia una blu scuro piena zeppa di bilancine d'argento. Il simbolo della giustizia. Sorride, ma è taciturno. Spiega che parlerà solo alla fine. A riforma approvata. Ma proprio mentre cerca di dribblare l'ennesimo capannello di giornalisti che gli si crea intorno, cade per le scale. Pronto si rialza e, raccogliendo i fogli sparsi a terra, scherza con i cronisti: «Tanto lo so che lo scriverete...». Incassato il via libera, parla solo davanti alle telecamere. «Nessuno era riuscito prima di noi a fare questa riforma - dice - è un altro impegno mantenuto da questo governo». L'opposizione insorge contro la riforma. Per il segretario dei Ds Piero Fassino «è sbagliata» ed è una «ferita grave». Ma sul relatore unico, l'Unione si divide. Nella riunione dei capigruppo la scelta era caduta su Marco Boato, proposto dal presidente dei deputati del Prc Franco Giordano. Oggi, il ripensamento. A quanto si apprende per indicazione dei Ds che tirano in ballo la Bicamerale per la quale Boato elaborò numerose bozze sulla giustizia. A prendere la parola è Lorenzo Acquarone dell'Udeur. Per il voto finale i leader dell'Unione disertano l'emiciclo. Insieme al capogruppo dei Ds Violante. Ora tocca di nuovo al capo dello Stato decidere se la riforma dell'ordinamento giudiziario diverrà legge. Leopoldo Elia (Dl) non esclude un nuovo rinvio alle Camere per via dell'emendamento «anti-Caselli» che introduce una parte