«CONTINUO a stupirmi.
E anche noi tendiamo ad avallare questo modo di pensare: se facciamo qualcosa di buono diciamo sempre che abbiamo fatto un miracolo. In verità, di miracolo in miracolo, con rispetto parlando, abbiamo un modello che funziona, un sistema. Il Sistema Italia». È contento Mario Pescante. Lui, sottosegretario ai Beni culturali con delega allo sport, sta limando gli ultimi particolari. Ma è contento, non c'è che dire. Torino 2006 ce l'ha fatta. A sette mesi dall'inizio delle Olimpiadi invernali i lavori sono conclusi. E dire che appena nell'ottobre scorso Torino 2006 era a rischio. Un buco nei conti di 220 milioni di euro, i lavori fermi, impantanati. E la preoccupazione del Cio, il comitato internazionale olimpico, che temeva sul serio che i giochi non si potessero svolgere. Nove mesi dopo la svolta con l'affidamento a Pescante, un passato da presidente del Coni e un presente di deputato di Forza Italia e al governo, di una sorta di commissariamento dell'organizzazione dei giochi. «Supervisore, prego», corregge lui. Onorevole, che cosa era successo? «Era successo che abbiamo trovato un buco di 220 milioni di euro». E come era stato possibile? «In parte erano mancati introiti pubblicitari. Quando si è istituito il comitato una serie di grandi aziende, nazionali e internazionali, aveva promesso il suo intervento. Poi alcune si sono tirate indietro. Per la crisi economica mondiale ma anche per singoli casi, come per esempio l'Alitalia». E poi? «E poi abbiamo avuto problemi nel top management. Un direttore e un vicedirettore generale, seppur divisi dalle competenze specifiche, che purtroppo non andavano d'accordo. La mancata sintonia ha creato enormi problemi sulla struttura organizzativa». Come ha fatto a recuperare questo spaventoso ritardo? «Voglio dirlo chiaramente. Non ce l'ho fatta io, o almeno non solo io. Vorrei che si usasse un'altra espressione: ce l'abbiamo fatta». Chi? «Tutti assieme. Il comitato, gli enti locali, il governo. Ecco, questo penso sia grandemente importante. C'è stato un lavoro di tutti assieme, un'unità d'intenti, un lavoro di squadra che ci ha portato al successso. Non abbiamo guardato a colori politici, né alle singole appartenenze di partito». E che cosa avete fatto? «Come primo provvedimento, nonostante le singole professionalità, abbiamo sostituito il top management del Torco e abbiamo effettuato due nomine. Ho scelto io in piena autonomia e abbiamo nominato l'ingegner Cesare Vaciago, un grande esperto di imprese pubbliche e private, e Luciano Barra, un uomo dalla trentennale esperienza nel mondo dello sport, ha anche lavorato spalla a spalla con Gino Nebiolo». Sul piano economico come avete colmato il buco? «Nuovi sponsor ci hanno dato una mano. Ma il principale aiuto è venuto da Sviluppo Italia, che ci ha soccorso con 130 milioni di euro. Poi c'è stato uno sforzo corale, con fondi anche degli enti locali. Ecco, Comuni, Provincia e Regione interessati hanno messo mano al portafoglio e si sono dati da fare». Si può parlare adesso di un modello esportabile ad altri settori? «Il presidente del Consiglio ha parlato di una "favola". Dico che la squadra rischiava di retrocedere, abbiamo cambiato le punte e un uomo e centrocampo e adesso voliamo verso lo scudetto. Spero che di questa esperienza non resti soltanto qualche impianto, ma si lavori anche in altri comparti». E la qualità? Non si è risparmiato su quello? «Ma non scherziamo. I lavori sono all'avanguardia. È stato realizzato l'88% di quanto necessario e le opere faranno scuola sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista estetico. Ma c'è una prova della prova». E qual è? «Sono gli sport events. Ovvero sono test con i quali si svolgono vere e proprie gare sportive che consentono di valutare la tenuta degli impianti. E questi test hanno dato tutti il miglior risultato. Pechino, dove si svolgeranno i giochi estivi del 2008, è già venuta a studiare come abbiamo lavorato. Possiamo dire che l'Italia fa scuola? Massì, diciamo che è la verità. Un po' di orgoglio ci vuole». O