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Destra sociale si processa: meglio rompere?

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Appena spenti microfoni e riflettori sull'assemblea nazionale, molti militanti si chiedevano fra i corridoi semi deserti dell'Ergife se non fosse stato meglio rompere e creare quella «minoranza» interna che avrebbe forse lasciato più libertà di manovra. Spetta ora a Gianni Alemanno e a Francesco Storace fare chiarezza e mitigare una vena di incertezza e delusione che continua a serpeggiare fra gli iscritti al partito. Così Storace dice ai suoi «da domani nulla sarà come prima, si deve ridiscutere tutto, a partire dalle cariche fiduciarie. E non mi deve telefonare Matteoli ma Fini in persona». Alemanno, invece, dopo aver mantenuto una sorta di diffidenza annunciando, subito dopo il voto alla relazione di Fini e all'ordine del giorno: «Non tornerò a fare il vice presidente», inizia a guardare il bicchiere mezzo pieno, ricordando ai suoi i successi incassati dall'assemblea. «Per la prima volta - sostiene il ministro - abbiamo dimostrato di avere la capacità politica che ci consente di puntare i piedi per terra e dire no, come è accaduto ieri sera, quando ci hanno proposto quella bozza d'accordo che non ci piaceva. Poi abbiamo dimostrato di avere una notevole capacità organizzativa, ad esempio quando abbiamo raccolto le firme e - ribadisce - abbiamo stabilito con Storace un riferimento per gli iscritti e i dirigenti della componente. Adesso il nostro obiettivo è quello di crescere». Certamente non sarà un passaggio semplice, quello di far capire a chi stava fuori dalle segrete stanze dell'Ergife tutti i gradini di un accordo prima dato per raggiunto, poi sfumato nella notte, fino a far vibrare le poltrone anche dei più ottimisti quando, all'apertura dei lavori del secondo ed ultimo giorno dell'assemblea nazionale, si iniziava a dare per scontato che destra sociale avrebbe votato contro la relazione di Fini, sfiduciando di fatto il presidente. Poi la sfida è stata accettata, quella cioè di affrontare, uniti, una nuova fase del partito in cui «componente o corrente» non sia più sinonimo di «metastasi» ma di organizzazione e laboratorio di idee. Ma il successo delle correnti è tutto nell'aver messo un punto fermo al metodo degli strappi a favore di una maggiore collegialità interna, proprio come avevano raccomandato Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri: un'assemblea nazionale verrà convocata ogni tre mesi. Richieste, appelli e considerazioni che gli esponenti di An hanno rivolto al presidente anche quando il documento della «pace» era stato già siglato. Come ha fatto dal palco Teodoro Buontempo, da sempre outsider del partito e al di fuori di ogni corrente. «La questione non è mai stata se indire un referendum per Fini sì o no - chiosa Buontempo - la leadership non è un problema, piuttosto va colmato lo spazio vuoto che si è creato tra vertice e base, come se la testa si sia staccata dal corpo». E se per Altero Matteoli «ora An deve essere all'altezza del voto di fiducia che l'assemblea ha dato a questa classe dirigente». Publio Fiori non ha cambiato idea, nemmeno dopo l'appello rivoltogli proprio da Matteoli ed ha votato contro l'ordine del giorno. Del resto il vice presidente della Camera era stato chiaro sin dal principio: «C'è solo una possibilità per risolvere i problemi che stanno affliggendo An, le dimissioni di Gianfranco Fini». Così annuncia alla platea dell'Ergife il voto contrario all'ordine del giorno perchè «non si può ammettere la libertà di coscienza sui valori». Che il voto contrario di Publio Fiori si trasformi in un addio al partito è un'ipotesi al momento smentita seccamente dall'interessato.

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