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I «piccoli» preparano la rivolta

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I democristiani sono democristiani». Se fosse un film l'assembela costituente della «Democrazia Cristiana per le autonomie» - che ieri si è celebrata a Roma - si potrebbe chiamare «Attenti a quei tre». Gianfranco Rotondi e Giampiero Catone (tutti ex Udc) assieme all'ex ministro del Bilancio democristiano Paolo Cirino Pomicino dall'hotel Summit sull'Aurelia hanno lanciato il loro avvertimento agli attuali partiti. «A chi ci dice "ma dove andate" rispondiamo: ma dove andate voi?». La Dc è tornata, «la piccola balenottera» - come l'ha definita Rotondi nel suo intervento da neo segretario del partito - riprende il suo cammino e lo fa lanciando subito una sfida. «Ci batteremo per il ritorno al proporzionale, ma non ad un proporzionale qualunque. Pensiamo ad un sistema alla tedesca con lo sbarramento al cinque per cento più il ripristino della preferenza. Quindi, ogni futura alleanze ci servirà solo stare Parlamento». La prima parte del discorso sulla riforma elettorale la introduce Pomicino, la seconda - quella sulle intenzioni di correre da soli alle prossime Politiche persentandosi come terzo Polo - la completa Rotondi. Il primo, oltre ad essere l'ideologo di questo progetto neo-centrista che dovrebbe riunire le varie liste democristiane sparpagliate su tutto il territorio nazionale, assumerà la direzione politica del quotidiano la Discussione che ieri, appoggiata su ogni singola sedia della sala congressi, titolava: «Nasce il terzo polo ed è democristiano». Il secondo viene proclamato primo segretario nazionale del Congresso che si terrà a fine anno per decidere le mosse per le prossime elezioni. Catone assume la segreteria organizzativa (sarà lui il «vero» motore dell'opera a tappeto sul territorio). Il punto debole resta eleggere parlamentari alle prossime Politiche. E per concorrere bisogna avere la possibilità di farlo. E per come è strutturato il bipolarismo italiano oggi o si sta di qua o di là, mentre la Democrazia Cristiana «è al centro del centro», dice Catone. Il partito unico per i neo-democristiani non è insomma la soluzione perché - come ha detto il presidente della Provincia di Catania Raffalele Lombardo, invitato «speciale» con cui la nuova Dc vorrebbe tanto federersi al Sud - «c'è un deficit di democrazia nel nostro sistema elettorale». La parola d'ordine al congresso è «non intrupparsi». Nè a destra, nè a sinistra. Anche se Rotondi confessa che il suo «amore» per Berlusconi non si è del tutto esaurito («Meglio lui di chiunque altro», dice buttando una frecciatina sia a Prodi che a all'Udc). Come si spiega allora il ricco parter di presenze politiche sia di maggioranza che di opposizione (più un'outsider come Alessandra Mussolini) all'assemblea di ieri se la neo-Dc non ha alcuna intenzione di allearsi con qualcuno? Ad invogliare soprattutto i «piccoli» dei due Poli è stata proprio l'idea di una battaglia per la riforma elettorale. Nessuno dei presenti, da Cicchitto (Fi) a De Michelis, da Fiori (An) a Lusetti (Margherita) ha certo intenzione di aderire alla nuova Dc. Qualcuno potrebbe pensare che allora sono andati lì mandati dai leader delle ripsettive coalizioni per invogliare Rotondi ad unirsi a loro. Nemmeno. La verità la confessano Giovanni Russo Spena e Salvatore Bonadonna del Prc che andandosene dall'assise dicono: «L'idea della Dc contribuirà a riportare le identità dei grandi partiti di una volta». Un sistema proporzionale sarebbe utile...

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