Tecniche inutili nel 50% dei casi
Il 40% dei casi di infertilità di coppia, infatti, è da ricondurre a patologie maschili. Patologie che, in gran parte, possono essere prevenute con visite andrologiche compiute nella prima infanzia o nell'adolescenza e con la trasmissione di alcune semplici nozioni comportamentali per evitare l'insorgere di problemi alla fertilità in età adulta, o risolte con la rivalutazione di un corretto approccio diagnostico e terapeutico. Eppure, secondo la Sia, troppo spesso la diagnostica e la terapia del fattore maschile di infertilità vengono trascurate a favore di un immediato ricorso alle tecniche di fecondazione assistita, anche perché quasi sempre le coppie infertili si rivolgono in prima battuta al ginecologo. Più della metà dei casi di infertilità, quindi, secondo la Sia, non necessitano del ricorso alle tecniche di procreazione assistita, ma soltanto di terapie mediche o chirurgiche, spesso in grado di consentire il concepimento naturale. «Oggi ci troviamo di fronte al rischio concreto di una medicalizzazione esasperata del concepimento - afferma il dottor Carlo Maretti, Coordinatore della Commissione Fertilità e Procreazione Medicalmente Assistita della SIA -. La legge impone che uno specialista certifichi che ogni tentativo per consentire una procreazione naturale sia stato compiuto sia sul versante femminile che su quello maschile. E l'unica figura professionale in grado di diagnosticare e curare una patologia andrologica non può essere che l'andrologo».