L'Ocse smentisce il governo: è recessione
Il Pil nel 2005 calerà dello 0,6%. Costo del lavoro troppo elevato. Serve la moderazione salariale
Dopo Eurostat che ha ritoccato al rialzo i dati su deficit e debito ieri è stata la volta dell'Ocse che prefigura addirittura uno scenario da «recessione». È la smentita secca dell'analisi del ministro dell'Economia Domenico Siniscalco che sostiene la tesi di un rallentamento dell'economia ma non della recessione. Secondo il rapporto dell'Ocse, la forte perdita di competitività dovuta ai costi eccessivi dell'inflazione, ha fatto precipitare l'economia italiana all'inizio del 2005 nella recessione. Alla fine del 2004 l'Ocse aveva previsto una crescita economica dell'1,7% per quest'anno e del 2,1% per il prossimo. Ora invece l'organizzazione è tornata sui suoi passi: il pil italiano nel 2005 si contrarrà calando dello 0,6%. Per il prossimo anno la situazione dovrebbe migliorare e il pil salire dell'1,1% grazie «ad una nuova ripresa del commercio estero». Alla base del rallentamento economico ci sono l'elevato costo del lavoro, l'apprezzamento dell'euro e la crescente concorrenza internazionale, che hanno fatto perdere all'Italia importanti quote di mercato. Il rallentamento della crescita si farà sentire sui conti pubblici: il deficit quest'anno salirà al 4,4%, e nel 2006 raggiungerà, «in assenza di nuove iniziative», il 5,1%. Peserà anche la graduale eliminazione delle una tantum. L'Ocse sostiene poi che le elezioni del 2006 «potrebbero ostacolare» il risanamento dei conti. Ma la condizione necessaria perchè si rimetta in moto un circolo virtuoso è di tenere sotto controllo i prezzi. Il che, secondo l'Ocse, richiede un «patto sociale tra tutte le categorie». C'è infatti bisogno della collaborazione di tutti, dai lavoratori che devono «accettare aumenti salariali ragionevoli», alle imprese che devono accettare la riforma dei settori protetti. L'attenzione dell'organizzazione è rivolta soprattutto alla perdita di competitività del sistema Italia che «sta perdendo quote di mercato a ritmo inquietante»: negli ultimi quattro anni la competitività è scesa del 25%, contro il 10% di Francia e Germania, a causa della «fiacca crescita della produttività» e «dei costi eccessivi dell'inflazione». Per rendere il Paese più competitivo e quindi rilanciarlo, occorre secondo l'Ocse tenere sotto controllo i prezzi. Ci vorranno 2 o 3 anni prima che le tendenze inflazionistiche rientrino. Sia nel 2005 che nel 2006 l'inflazione italiana si manterrà sulla soglia del 2%. L'Ocse comunque riconosce che l'Italia ha fatto molto, «ci sono state riforme, come quelle sul mercato del lavoro che hanno avuto effetti positivi. Ma bisogna continuare anche perchè la congiuntura internazionale si è fatta più difficile». La situazione italiana si inserisce infatti in un quadro europeo molto debole. L'economia dell'area Euro crescerà nel 2005 dell'1,2% e del 2% nel 2006, meno quindi di quanto previsto alla fine dello scorso anno (+1,9% nel 2005 e +2,5% nel 2006). Fanno da freno Germania ed Italia, che hanno dimostrato una minore capacità di sopportare gli shock esterni, quali la guerra in Iraq, il rialzo dei prezzi delle commodity e le fluttuazioni dei tassi di cambio. Circa «la metà dei paesi dell'area manterrà o vedrà salire sopra il 3% il deficit», si legge nel rapporto dell'Ocse che invita la Bce a considerare rapidamente un taglio dei tassi di interesse (l'Ocse si attende che si passi dal 2% all'1,5% entro primavera), per stimolare la domanda interna, che è «stagnante». Ma anche la crescita mondiale rallenta a causa dei prezzi elevati e volatili del petrolio. Nel 2005 sarà del 2,6% contro il 3,4% dello scorso anno. Ma il rallentamento non è generalizzato: Usa ed Asia, infatti, continuano a marciare e gli Stati Uniti quest'anno cresceranno del 3,6% contro il solo 1,2% di Eurolandia. I dati dell'Ocse sono stati subito cavalcati dalla Sinistra che accusa il governo di «continuare a minimizzare una situazione che è drammatica». Il capogruppo Ds al Senato Gavino Angius sostiene che «il governo inganna gli italiani» sui conti pubblici. Ma anche nelle fila della maggioranza c'è chi r