An, Fini tende la mano ai dissidenti
In pratica, la prima vera e propria contestazione del grande capo da quando esiste il partito. E non è una contestazione che parte dalla base o dalla Alessandra Mussolini di turno. Stavolta a muoversi sono i big. Domenico Fisichella ha annunciato che sta per andarsene. Publio Fiori è atteso dalle parti della Dc di Gianfranco Rotondi. E stavolta anche un esponente di governo si è messo in trincea. Si tratta di Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni, uno dei finiani doc, che figura tra i firmatari di un appello di critica a Fini. A questo punto, dunque, la protesta nei confronti del presidente del partito esce dal novero dei «battitori liberi» (Fisichella, Gaetano Rebecchini, Gustavo Selva) ed esplode nella cerchia dei fedelissimi del capo. Mantovano è tra i firmatari di un appello promosso dal presidente della commissione Ambiente della Camera, Pietro Armani, dal segretario della presidenza di Montecitorio, Antonio Mazzocchi, e dallo stesso Rebecchini: «Come fondatori di An, pur prendendo atto della discutibile decisione che il partito ha adottato di lasciare libertà di coscienza in merito all'imminente referendum, riteniamo di dover ricordare che occorre esser contenti con lo spirito di Fiuggi nelle cui tesi, approvate dal congresso costitutivo di An del 1995, si sottolineava come vada combattuta "quella cultura della morte che, come diceva Giovanni Paolo II, pervade oggi la civiltà occidentale... questa cultura ha cominciato ad affermarsi nel tempo in cui è stata legalizzata la pratica abortiva e ora sta per raggiungere nuovi, agghiaccianti traguardi con l'eutanasia, la manipolazione genetica e la clonazione degli embrioni umani"». E ancora, si legge sempre nel testo dell'appello: «Riteniamo, perciò, come sancito a Fiuggi e ribadito nella "Carta dei Valori" di Verona nel 2000, che "...questo delicatissimo settore ha bisogno di una legislazione che ponga regole certe e fissi il divieto di utilizzare gli embrioni umani per esperimenti". Quindi, non può essere sottaciuto il rischio che, qualora fosse rimessa in discussione la materia sottoposta a referendum, potrebbe eventualmente venire varato un testo peggiore di quello oggi vigente». «Pertanto - conclude l'appello - onde consentire all'attuale legge una sperimentazione temporaneamente adeguata, siamo convinti che l'astensione dal voto costituisca un comportamento pienamente legittimo e di alta valenza politica». Sulla stessa lunghezza d'onda c'è anche Fiori: «Il problema è molto semplice: le dichiarazioni di Fini sul referendum determinano oggettivamente un cambiamento della linea politica di Fiuggi, dove il partito fu fondato su alcuni valori. Vogliamo capire se dietro quelle parole del presidente c'è un progetto politico alternativo, o se invece si tratta di un'uscita estemporanea. Ma questo va discusso in un'Assemblea nazionale. Occorre riaprire il dibattito nel partito, visto che non si parla da tempo». Luigi Ramponi, invece, anche lui tra i fondatori, fa sapere di non voler abbandonare il partito. Anche se, rileva, «An deve tornare ad avere la spinta di quando nacque». Fini, dal canto suo, sta pensando a un'iniziativa che recuperi il dissenso. Per esempio una dichiarazione pubblica che sottolinei il fatto che la sua posizione è personale, non vincola il partito e prenda atto che la maggior parte della destra è per l'astensione. Una soluzione che frenerebbe la guerra interna. La seconda mossa potrebbe essere convocare l'assemblea nazionale e far sfogare il partito. Ma Fini si ritrova davanti a una nuova esperienza: convincere il suo partito.