Folena: «Preoccupazioni fondate» Franceschini: «Paure eccessive»
Dal Manifesto di ieri Fausto Bertinotti, con una lunga intervista, torna a caricare a testa bassa Prodi, la sua Fabbrica del Programma e quella parte del centrosinistra che vede Rifondazione Comunista come un qualcosa di fastidioso nel corpo dell'Unione. Parole dure ma precise come stilettate. Ai riformisti: «Autosufficienza infantile, senza di noi crolla tutto». E al Professore: «Il programma non è un optional. O traduciamo il no a Berlusconi oppure ci troveremo senza popolo». Già, il programma. È proprio su quello che si gioca, e si è giocato, lo scontro più duro tra Fausto e Romano. E con una serie di domande il leader di Rifondazione incalza Prodi e fa capire quale sia il suo pensiero: difendere l'occupazione anche nelle grandi industrie, mettere fine a una ripartizione del reddito socialmente intollerabile come quella che si è realizzata dal '93 a oggi, abrogare la legge 30, la Bossi-Fini e la Moratti. E poi ancora: nessuno pensi di poter fare a meno della sinistra radicale. «È semplicemente irrealistico fare senza di noi — spiega Bertinotti — Fino al maturare della sconfitta elettorale e definitiva di Berlusconi, come si è visto anche alle recenti regionali l'Unione è l'unica formula possibile capace di raccogliere la domanda popolare di cambiamento. Non c'è verso, senza l'Unione quel risultato è impossibile. Non si può fare la sottrazione perché altrimenti cade tutto l'edificio. Chi la pensa così è infantile, confonde i propri desideri con la realtà». Insomma, passati i giorni dell'entusiasmo per il successo delle regionali di aprile, sull'Unione torna a pendere la spada di Damocle di un altro '98, l'annus horribilis in cui il leader del Prc fece cadere il governo Prodi. Bertinotti non arriva ad agitare in modo così netto e minaccioso lo spauracchio, ma certamente incomincia a farlo intravedere, mettendo sin da subito i paletti che sono, come sempre, quelli di una politica ancora più a sinistra rispetto alle idee finora uscite dalla Fabbrica prodiana. Tante le reazioni nel centrosinistra all'intervista pubblicata dal Manifesto. Anche dalla parte più a sinistra di Rifondazione Comunista, quella che a marzo ha contestato a Venezia la linea del segretario. «L'intervista odierna di Fausto Bertinotti è la confessione, di fatto, del fallimento di una politica — dice Marco Ferrando portavoce di Progetto Comunista-Sinistra del Prc — A due mesi dalle conclusioni del VI congresso, celebrate con l'annuncio dell'avanzata del partito e dello "spostamento a sinistra" dell'Unione, lo stesso Bertinotti deve constatare uno scenario opposto. Il partito perde elettoralmente 400 mila voti rispetto alle elezioni europee e il centro dell'Unione annuncia un programma di "risanamento finanziario" col plauso di Monti e dei poteri forti. In più, il Prc subisce un'emarginazione di ruolo nell'Unione, mentre cresce ulteriormente il dissenso interno al partito e la critica di ampi settori di movimento. Il paradosso è che ora, invece di voltare pagina, Bertinotti ripropone esattamente la politica fallita nel momento stesso in cui ne constata il fallimento». Condivide invece il richiamo del leader di Rifondazione Pietro Folena. «Le preoccupazioni sul Manifesto sono fondate. E va sottolineato in modo particolare la proposta di Bertinotti di rendere l'Unione qualcosa di più rispetto ad un semplice cartello di partiti, di introdurre la democrazia nel percorso di costruzione dell'alleanza. Penso da tempo che l'Unione, in quanto tale, debba diventare un soggetto politico di coalizione, su base federativa: non un partito unico quindi, ma un luogo nel quale il programma e le decisioni di governo siano prese collettivamente e non solo sulla base di trattative e rapporti di forza tra le diverse componenti. Il progetto di unire una parte della coalizione non è solo parziale ma rischia anche di pregiudicare un'unità più compiuta». Su una linea completamente opposta, invece, il coordinatore della Margherita Dario Franceschini. «Quello che dice B