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Qualunque sia il nome, dobbiamo farla così. Nel rispetto della nostra identità

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L'Italia bipolare doveva significare un più alto tasso di democrazia, un potere di scelta diretto da parte del cittadino sovrano, la possibilità di ricambiare e rigenerare le responsabilità attraverso l'alternanza. Valori che le parti più evolute del mondo hanno consolidato da secoli ma che qualcuno, in Italia, di tanto in tanto, magari con strategie velate, cerca di rimettere in discussione. La destra ha portato al Polo dei moderati il suo patrimonio identitario che ruota attorno al valore della Nazione, al senso dello Stato, alla centralità dell'uomo. In questa fase di evidente difficoltà dei moderati, il rischio serio è quello di recare danni irreparabili a quella missione fondante che il centrodestra si era data alle sue origini. E tutto questo nel miope tentativo di scomporre questa o quella geometria, guadagnando qualche centimetro da una parte o dall'altra. I governi, nella logica dell'alternanza, possono cambiare, le coalizioni possono modificare i loro assetti ma quello che va sempre salvaguardato è il bipolarismo, dal quale dipende la qualità della nostra democrazia. Partendo da questo punto fisso, una sorta di stella polare che guida la navigazione, ogni ragionamento su come ridare dinamismo politico al nostro fronte può essere fruttuosamente aperto. Ribadire la necessità di un'Italia bipolare e valutare come far riguadagnare consenso ai moderati riportandoli in sintonia con la maggioranza degli italiani. Chi si illude di poter scomporre le due operazioni commette un grave errore e rischia di consegnare per lungo tempo l'Italia alla sinistra. Non ultima l'indicazione che ci viene dall'Europa dove la politica è chiaramente bipolare. Tra le ipotesi in campo, circolate in queste ore, sul cui valore ci s'interroga, c'è quella che vorrebbe una forte accelerazione per passare dal bipolarismo al bipartitismo, che è, poi, la peculiarità dei sistemi anglosassoni. Un'idea, affiorata non solo oggi ma di tanto in tanto, nel centrodestra come nel centrosinistra. Se pure questa prospettiva può essere indicata come un obiettivo finalistico, affascinante e meritevole, prima ancora culturale poi politico, si tratta di una prospettiva di breve o medio periodo. Forse domani il bipartitismo sarà possibile. Oggi appare realistico un "Patto Federativo aperto", capace di sintetizzare, unire, finalizzare e stringere le culture politiche del centrodestra italiano. Anche se in questi giorni possono apparire diradate sono ancora tante, e tutte valide, le ragioni della coesione. A cominciare dal distinguo netto, puntuale, preciso rispetto a tutto ciò di cui l'Unione si va portavoce. A cominciare dalla difesa di un sistema di "valori della libertà" che il nostro antagonista continua, al fondo delle sue idee, a negare. In quella costante ricerca di equilibri sempre più avanzati che segnò profondamente il suo carattere e la sua azione politica, Pinuccio Tatarella fondò un giornale chiamandolo "Centrodestra", con la parola tutta intera senza quel trattino che viene adoperato spesso nelle cronache giornalistiche. Pinuccio faceva precedere le iniziative editoriali a quelle politiche, convinto del valore culturale della politica stessa. Ebbene, "Centrodestra", scritto in questo modo, stava a indicare una precisa formula che superando sia il centro e la destra, nelle loro accezioni classiche, dava vita a una terza entità, il centrodestra appunto. Una formula capace di riassumere la parte più viva delle culture politiche moderate d'Italia, la destra, i cattolici liberali, i riformisti, i partiti risorgimentali, coniugandole con alcuni richiami a altre esperienze occidentali, il conservatorismo anglosassone, il gollismo francese, il repubblicanesimo americano. In politica le formule sono importanti perché sono chiamate a sintetizzare una strategia e un programma, nondimeno, però, pesano i contenuti che costituiscono il dato immanente in chi, come noi, persegue una politica delle idee e non mere alchimie

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