Parte la successione, Gasparri in pole
Il suo intervento ha aperto le celebrazioni, ma soprattutto ha preso il posto destinato una volta alla «relazione del segretario del partito»: la nota che, nella liturgia missina e non, avviava i lavori e dettava la linea. Gasparri, unico tra i colonnelli, s'è preso quello spazio, con tutta la mattinata. Gli altri glielo hanno lasciato e il ministro delle Comunicazioni ne ha approfittato con un intervento a tutto campo. Da leader. Di fatto, si è aperta la guerra di successione a Fini. An e il suo capo, anche se tutti giurano di no, per la prima volta sembrano aver imboccato due strade diverse, forse parallele. E per la prima volta la destra si trova con un leader che non c'è, che sulla porta dell'ufficio in via della Scrofa ha appeso un bel cartello con su scritto: «Torno subito». Chi lo cerca si sentirà rispondere dalla portineria: «Chiami la Farnesina». Non c'è il capo perché impegnato a fare altro, un altro mestiere, quello di ministro degli Esteri. Dietro di lui già si sgomita per conquistare il posto migliore per trovarsi la strada spianata al momento giusto. Sebbene nello scatto di ieri il leader della corrente maggioritaria (destra protagonista) sia partito per primo, ha guadagnato qualche metro, la gara è tutt'altro che finita: siamo solo ai primi silenziosi passi. La giornata, tra i capicorrente, è stata segnata tutta da Gasparri, visto che Francesco Storace al momento non può considerarsi nella partita per il post-Fini: è impegnato nella riconferma alla guida del Lazio, anzitutto. La risposta degli altri concorrenti è affidata alla giornata di oggi. Anzi, alla sola mattinata. Adolfo Urso, programma alla mano, è stato spedito all'alba a coordinare una tavola rotonda. Gianni Alemanno, Altero Matteoli e Ignazio La Russa parleranno tutti assieme, dieci minuti a testa, per non togliere troppo tempo alle conclusioni di Fini previste per l'ora dell'antipasto. Forse non se ne sono resi conto, ma gli altri colonnelli hanno lasciato troppi vuoti a uno solo di loro. E quella di Gasparri, infatti, non è stata solo una relazione. Non è stato un semplice saluto, ma un intervento globale. Con un primo richiamo ai militanti: «An è un partito di programma e di militanti. Rivendichiamo di essere un partito di persone, radicato sul territorio. Un partito degli italiani, della nazione». C'è il richiamo all'attuale leader con il ricordo di «quando gli elettori diedero a Fini il mandato per far nascere una grande destra italiana. Credo sia nostro dovere pensare a progettare il domani. Siamo una destra però non appagata». C'è la rincorsa all'applauso quando sottolinea che «pagine strappate di storia non ci sono più. Anche la tv pubblica si occuperà della tragedia delle Foibe»; e quando evidenzia che è stato per lui «motivo di orgoglio essere a Trieste come ministro a consegnare una medaglia d'oro per cancellare quell'oblio. La destra è al governo anche per questo». E, infine, c'è la prospettiva, il discorso sul futuro. Gasparri dice che sul partito unico «è inutile proporre scorciatoie, rischiano solo di complicare le cose». Quindi tranquillizza la base affermando che «quando sento parlare di scioglierci, mi sembra una proposta sbagliata che rischia di impedire anche il rafforzamento della coalizione». E la risposta ai temi del giorno: «Sono per un patto federativo, lavoriamo per una cooperazione nella quotidianità». Ma nel pomeriggio tocca a Francesco Storace, il presidente della Regione Lazio e leader di Destra sociale. Il suo, sicuramente, è l'intervento più applaudito. Forse anche quello più di cuore. E, come sempre, uguale e contrario a Gasparri, il suo ragionamento cammina sul percorso inverso. A cominciare dal partito unico circa il quale Storace dice di essere interessato a «capire lo statuto e quali sono le regole ma siccome mi pare di capire che di regole non si vuole parlare, allora è meglio se ci teniamo il nostro» di partito. Subi