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Come l'Italia aiuta l'Iraq a rinascere

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Tutti i progetti per stabilire la democrazia. Cosa fanno i diecimila militari italiani all'estero

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Si continua con l'istituzione di un dipartimento di polizia scientifica, magari per l'identificazione dei cadaveri. E si passa poi alla formazione della classe giornalistica. E via così. Ecco che cosa fanno gli italiani a Baghdad. Non una o due Simone. Ma mille, diecimila. Progetti su progetti, iniziative e proposte. E non solo pacifiste, non solo feste e festine di sera che tanto hanno dato fastidio agli iracheni. No, ci sono piani concreti che si stanno perfezionando sotto la direzione del ministero degli Esteri e che sono descritti dettagliatamente nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto che proroga le missioni militari all'estero. Il testo è stato appena consegnato al Senato. E stavolta, a differenza del solito, è tutto descritto, parola per parola, voce per voce. Non ci sono più segreti. Neppure per i Servizi. Il Parlamento, dunque, è stato messo al corrente di tutti i passi che si stanno compiendo in Iraq, tutto quello che migliaia di italiani stanno facendo per dare al Paese un minimo di democrazia. E non è solo un aiuto militare, non sono solo le Forze Armate che si stanno impegnando nel teatro iracheno devastato e martoriato dalla dittatura di Saddam, dalla successiva invasione di marca statunitense e dal terrorismo. Non solo loro, dunque, il cui lavoro comunque è quello più in vista e anche quello più impegnativo e pericoloso. Ci sono anche tanti altri italiani che probabilmente in silenzio, senza troppo clamore e senza troppa pubblicità, nel loro piccolo ogni giorno mettono un tassello nel mosaico della democrazia. Ci sono progetti che serviranno a creare un tessuto economico del Paese e più ancora gli elementi minimi per ricostruire un sistema produttivo e imprenditoriale. Perché la pace non la si ottiene solo con le manifestazioni di piazza ma anche (e soprattutto) facendo ripartire l'economia. Ci sono progetti per rimettere in moto le università, rimettere nel giro accademico internazionale le strutture irachene. Perché lo scambio culturale è vita e anche con quello si riedifica un Paese. E ci sono piani per valorizzare i beni culturali e artistici nella terra mesopotamica, dove insomma è nata la cultura occidentale. Ci sono, insomma, fatti. Atti. E soprattutto un'opera che si muove. Certo, a scorgere le tabelle preparate dai ministeri ci sono voci che puzzano di spreco, s'avverte in qualche anfratto il tanfo dello sperpero. Questa volta il Parlamento, che sarà chiamato ad esprimersi, ha tutti gli elementi per giudicare. Nelle seicento e passa pagine di relazione tecnica si può anche scorgere qualcosa che non va. D'altro canto sono 611 i milioni di euro (non fate i conti, sono oltre mille miliardi delle vecchie lire) che lo Stato spende per le missioni all'estero. La stragrande maggioranza di quei soldi, il 95%, è destinato alle missioni delle Forze armate. E in quella cifra sono compresi gli stipendi dei militari, le attrezzature, l'utilizzo delle navi, degli aerei, dei mezzi e, ovviamente, gli aiuti umanitari che vengono distribuiti tra la popolazione. Poi ci sono altri 18 milioni che sono gestiti direttamente dal ministero degli Esteri che ha predisposto una serie di interventi. Tra questi una buona fetta, sette milioni di euro, è destinata alla Croce Rossa per assistenza ai malati, per il pronto soccorso, per l'aiuto agli ustionati. Quasi la stessa cifra, infine, è per la Polizia che, naturalmente, non è considerata tra le forze armate. Si tratta di cifre, è bene ricordarlo, che bastano per un semestre. Quindi, la somma che spende lo Stato all'anno è di 1,2 miliardi di euro. Che cosa significa? Per avere un'idea basta considerare che per tagliare le tasse (giovedì i lavoratori si troveranno una busta paga più pesante), Berlusconi ha impegnato 6,5 miliardi. Soldi, quelli per le missioni, che servono per portare la pace in giro per il mondo. Non c'è soltanto l'Iraq. Ma c'è anche l'Afghanistan. E poi l'Albania, la Bosnia, il K

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