La Margherita sogna un leader dei Ds

Nessuno, probabilmente, avrebbe resistito allo stillicidio al quale il centrosinistra sta sottoponendo Romano Prodi da quasi un anno, da quando in una convention al Palalottomatica a Roma venne riconosciuto come leader della coalizione: per ogni passo faticosamente in avanti ce ne sono tre indietro, ogni giorno c'è qualcuno che si diverte a lanciare un sassolino, o una pietra contro di lui. Chiunque avrebbe mollato. Non lui. Il Professore non demorde, anche se fiuta il pericolo di un «bidone», continua ad ingoiare bocconi amari e aspetta che alla fine tutto si ricomponga. Lanciando accorati appelli ai partiti che lo sostengono perché si decidano a far finalmente camminare la coalizione su gambe robuste. Il problema è che probabilmente sono gli stessi partiti che non hanno alcuna intenzione di regalargli un po' di tranquillità. Lasciandolo cuocere lentamente tra polemiche e qualche incoraggiamento fino alle regionali di aprile. E poi? Poi si vedrà, ragionano specialmente dentro la Margherita, il voto potrà chiarire molte cose. Ma è chiaro che in caso di una sconfitta o di un successo risicato la candidatura di Romano Prodi non avrebbe più motivo di andare avanti. E l'alternativa sarebbe una sola: il sindaco di Roma Walter Veltroni. Di questo pericolo Prodi, che di tutto si può accusare ma non di non avere fiuto politico, si è accorto da un po' di tempo. E come ormai è prassi consolidata tra gli esponenti del centrosinistra ha espresso la sua posizione in un'intervista. Stavolta al Corriere della Sera. Nella quale ammette di essersi preso «un periodo di distacco». «Sono stato preso da altri pensieri — spiega — che magari non erano del tutto sintonizzati su quello che accadeva a Roma». E ieri ha ripetuto il concetto in un'intervista a Telereggio: «La prima esigenza è federare le forze, e per fare questo non si possono avere compromessi spartitori, non si può fare un passo indietro. Io mi sto prendendo su questi temi un periodo di riflessione perchè o si danno garanzie al popolo italiano che gli obbiettivi sono condivisi e possono essere raggiunti, o bisogna stare attenti: non si può ingannare la gente». Insomma un atteggiamento disincantato, come di chi sa che, in fondo, nessuno potrà costringerlo, se lui si stancherà, a fare ancora il capro espiatorio del centrosinistra. Che Rutelli sia il primo a fargli la guerra lo sanno oramai anche i sassi. Ma non tanto perché l'ex sindaco di Roma ambisca a fare lui il candidato per le politiche del 2006. O almeno non è quello il motivo principale. Il ragionamento, come sottolineano alcuni quadri della Margherita, è molto più sottilmente politico. In caso di vittoria Un Prodi presidente del Consiglio sarebbe un ostacolo insormontabile per la Margherita per piazzare propri uomini nei ministeri chiave. E il partito di Rutelli di pedine da sistemare ne ha molte. E allora? Allora meglio far fare il leader a un esponente dei Ds e puntare invece a occupare più poltrone nei ministeri. In uno scenario come questo la scelta su chi candidare passerebbe alla Quercia. Ma sarebbe, di fatto, una scelta obbligata: l'unico in grado di coagulare attorno a sé tutte le forze politiche e il maggior numero di voti è proprio il sindaco di Roma. Il quale, da parte sua, sta giocando la sua partita con estrema tranquillità. Ha detto che il suo obiettivo è di governare la capitale per un nuovo mandato e che non ha alcun interesse a candidarsi come leader nazionale. Però è l'unico esponente del centrosinistra che si muove disinvoltamente tra i problemi italiani e quelli esteri, l'unico capace di trasformare Roma in un palcoscenico mandiale. Qualsiasi cosa organizzi. E se, messe in archivio le regionali, i partiti gli chiedessero di candidarsi «per il bene della coalizione» qualcuno ha il dubbio che Veltroni si tirerebbe indietro? Certo nella Quercia c'è il problema dei non facili rapporti con D'Alema. Ma i due — sarà un caso — ultimamente stanno lavorando per mettere fine a un antico duello. Prova ne sia i