Tremonti mattatore, Moratti sugli scudi
Non si perde un sorriso, una parola con un delegato. Non si perde un sorriso di circostanza. La seconda giornata del secondo congresso di Forza Italia è il Giulio Tremonti day. È il suo giorno. Quando il leader non c'è, scendono in campo i numeri due - quelli veri -, pronti a scatenarsi per misurarsi davanti alla platea amica. E l'applausometro segna la vittoria per il ministro dell'Economia, che stacca di qualche battuta di mano Letizia Moratti, accolta anche lei da una vera acclamazione. Tra l'altro, il patto di ferro tra i due ormai è suggellato: al punto che siedono uno accanto all'altra nella prima fila sotto al palco. Ma Giulietto - che manda gentilmente a quel paese i giornalisti ma esaudisce qualunque desiderio dei militanti - va oltre. E a metà pomeriggio lui, il ministro nordista per eccellenza, abbandona la prima fila (mentre sta parlando, guarda caso, il ministro Antonio Marzano) e cerca in platea il suo vice, Gianfranco Miccichè, il leader della «lega sud» nell'esecutivo. E con lui cerca una nuova alleanza. Passeggiano assieme tra i delegati e si buttano nel bagno di folla. Ma Tremonti aveva già «espugnato» il congresso nella mattinata. Che il vento soffiava a suo favore, s'era capito già dalle prime parole del ministro dell'Economia, che avevano un unico bersaglio: Romano Prodi, il più odiato dai berlusconiani. Tremonti dice di lui che è una via di mezzo tra Zelig e un Visitor, bugiardo e incompetente, stia zitto che è Bertinotti quello che comanda. È un Tremonti stile anni '90, quello della battuta pronta e felice. Eccolo: «Bertinotti a fianco alla falce conosce solo il martello, per lui i cittadini sono chiodi da battere». E ancora: «Il programma dell'Ulivo è vago con estrema esattezza, non c'è un numero tranne quello delle pagine». Arriva anche il momento di Antonio Fazio e dei crac Cirio Parmalat: «C'era qualcosa di anomalo, di solito è la vigilanza (della Banca d'Italia, ndr) ad informare il governo, e non il contrario». Ma il titolare del dicastero di via XX settembre guarda avanti e promette che l'Italia non firmerà atti che possano penalizzare il Sud (al punto che qualche delegato lo invoca: «Càndidati da noi, in Sicilia»; e lui: «No, mandatemi Miccichè al Nord»), saranno congelate le addizionali per gli enti locali, si punterà a ridurre l'Irap sulla ricerca. Ma soprattutto, saranno abbassate le tasse. E arriva la benedizione del premier che all'improvviso compare in sala, guadagna il palco e esorta tutti: «Andate in giro e dite forte e chiaro: sinistra uguale più tasse, Forza Italia uguale meno tasse». Non manca la stoccatina agli alleati: «C'è chi vuole cominciare ad abbassarle ai ceti medio, io dico a tutti, anche a quelli più ricchi. Con il 51% dei voti l'avremmo fatta subito. Dite alla gente: se volete meno tasse, votate Forza Italia». Infine, il premier sottolinea: «L'opposizione sa solo dire il contrario di quello che diciamo noi. Non fa proposte. Ma noi porremo la fiducia tutte le volte che sarà necessario sulle leggi importanti». Scelta che farà poi arrabbiare Follini e irritare Fini. Ma ad Assago c'è un altro oratore a cui viene concesso un tributo come per Tremonti e il Cavaliere: la Moratti. Quando procede a passo levato sulla gradinata che la porta al pulpito, il pubblico è già in piedi. Donna Letizia è già un simbolo per gli azzurri. E lei ricambia apparendo più berlusconiana di sempre e dice: «La riforma della scuola è partita da un sogno che sta diventando realtà». Svela di essersi ispirata, nel suo lavoro, ad un proverbio cinese: «Se fai piani di un anno, semina riso; se fai piani di dieci anni, semina un albero; se fai piani per una vita, educa e forma persone». Applausi e lacrime. Come le lacrime del ministro Beppe Pisanu che si commuove nel ricordare uno dei caduti di Nassiriya «che aveva deciso di arruolarsi per andare a portare la pace».