Lungo consuntivo sui tre anni di governo Richiamo agli alleati a non porre ostacoli
Non esiste un Occidente che sono gli Usa e uno che è l'Europa. Infatti non è un caso che gli Stati Uniti sono intervenuti per ben due volte nel nostro Continente: per liberarci e per mantenere la libertà». L'affondo più deciso Silvio Berlusconi lo conserva per il finale in crescendo. E non si tratta di un finale propagandistico, ma anzi, è la parte più politica del suo intervento fiume in apertura del II congresso di Forza Italia. Il premier riserva infatti in conclusione la politica estera. E mette subito le cose in chiaro: «Resteremo in Iraq per tutto il tempo necessario. Se ce ne andassimo, dovremmo ritirare le nostre truppe dal Kosovo, dall'Albania e da tutti gli altri Paesi nei quali stiamo portando la democrazia». Un attimo di respiro e tuona: «Ecco, noi siamo quelli che veramente sono a favore della pace. Gli altri sanno benissimo che se lasciassimo il Paese si scatenerebbe la guerra civile». Il mirino si sposta sulla sinistra: «È dal 1990 che sono dalla parte di Saddam. Per loro manifestare per la pace significa "lasciare in pace Saddam", lasciare in pace tutti i dittatori del mondo, lasciarli liberi di massacrare i loro popoli». Il vero obiettivo, comunque, ha un nome e un cognome: Romano Prodi, bollato come un «meschino». E il perché arriva subito: «È il presidente della commissione Europea, dovrebbe lavorare per unire, non per dividere. Ed è meschino vedere un italiano che lavora contro il suo Paese per un puro calcolo elettorale». Quindi ragiona Berlusconi, sempre a proposito del leader dell'Ulivo: «Il primo maggio in un'intervista, dice che non bisogna ritirare le truppe perché andare via significherebbe portare il Paese al collasso. Venti giorni dopo, poi, diventa l'ispiratore della mozione con la quale la sinistra chiede il ritiro». E le elezioni? C'entrano, sottolinea il Cavaliere: «La Lista delle sinistre ha deciso di votare per il ritiro delle nostre truppe perché avevano paura che i rifondatori del comunismo e Occhetto prendessero troppi voti. Se fossero onesti candiderebbero il loro vero leader, Bertinotti e non l'uomo (sempre Prodi, ndr) che avevano mandato in esilio». Non è finita, c'è ancora una coda: «Sento degli slogan da anni '50. Per esempio: "Fuori l'Italia dalla Nato e fuori dalla Nato dall'Italia", lo ricordate? Ecco, lo dicono ancora quelli di Rifondazione, i veri padroni della politica estera dell'opposizione». Di qui l'avvertimento: «Attenti signori della sinistra, la vostra acrimonia vi sta portando a prendere una strada sbagliata, una strada che è contro l'Italia». Nelle quasi due ore che precedono la parte di politica estera, Berlusconi insiste sulla politica italiana. Il suo è un lungo consuntivo sui quasi tre anni di governo che si possono riassumere nelle frasi ripetute ossessivamente nel corso dell'intervento: «La nostra moralità è mantenere la parola data», «Stiamo mantenendo gli impegni», «Il sogno si sta realizzando». C'è anche un richiamo implicito agli alleati. Succede quando parla del punto cinque, l'ultimo, del «contratto con gli italiani» firmato prima delle elezioni del 2001 (pena la sua non ricandidatura): il taglio delle tasse. Taglio realizzato in parte, ma la quota maggiore è stata ancora rinviata per le indecisioni degli alleati. «La riduzione delle tasse s'ha da fare, così come abbiamo ribadito più volte». E replica proprio ad An e Udc che fissano paletti: «La difesa dei più deboli, dei più bisognosi è stata una rotta precisa per noi di politica economica». Aggiunge quindi: «Il contratto con gli italiani, che prevede la riduzione di sue sole aliquote al 23 e al 33%, è stato firmato da me "in pieno accordo con gli alleati". Basta rileggersi il testo». Ma proprio delle frenate imposte da destra e centristi, Berlusconi approfitta poco più avanti, quando dichiara nettamente: «Se volete tasse più basse, scegliete noi, votate Forza Italia». Ma un nuovo altolà agli altri inquilini della Casa delle Libertà giunge men