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A Roma aperta solo l'aula per processare Geronzi

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Nel palazzo di Giustizia di Roma massima adesione allo sciopero indetto dall'Anm. L'unica porta aperta era però quella dell'aula della sesta sezione. All'interno due magistrati, i giudici togati e gli avvocati di Cesare Geronzi. Il motivo? Il presidente di Capitalia è sotto processo con l'accusa di false comunicazioni, procedimento che è a rischio prescrizione. Così i giudici, aderendo comunque allo sciopero, hanno deciso aprire il dibattimento di fronte ai pubblici ministeri Gustavo De Marinis e Perla Lori, anche loro favorevoli all'astensione. Si tratta dell'unica udienza, senza detenuti, che si è tenuta ieri a piazzale Clodio. Il reato di false comunicazioni alla Banca d'Italia, oltre a Cesare Geronzi, viene contestato anche ad altre 14 persone, tra dirigenti e funzionari della Banca di Roma. Secondo l'accusa gli imputati non avrebbero comunicato in maniera corretta alla Banca d'Italia informazioni circa lo stato del bilancio redatto nel 1996. Nel corso dell'udienza i penalisti hanno presentato diverse eccezioni, che però non sono state accolte dalla Corte. Una faceva riferimento all'indeterminatezza del capo di imputazione, un'altra alla violazione dei diritti della difesa. Secondo i difensori di Geronzi e degli altri dirigenti negli avvisi di fissazione del processo non era stato specificato in maniera chiara che gli imputati potevano scegliere di essere giudicati o con il rito ordinario o con quelli alternativi (patteggiamento o giudizio abbreviato). A provocare l'inchiesta e il rinvio a giudizio è stata la denuncia depositata nel 1997 da Maurizio Boccacci, già esponente del disciolto movimento politico occidentale ed ex dipendente sindacalista della Banca di Roma. Questi in sostanza denunciò che l'Istituto di credito, accusato di «cattiva gestione delle risorse» nei bilanci, aveva classificato 3.400 mld di vecchie lire sotto la voce «sofferenze» anziché sotto quelle dei «crediti vivi» e quindi con possibilità di rientro. Au.Par.

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