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«Se otterremo il 36% il governo va a casa»

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Ma D'Alema lancia un pesante affondo ad «ambienti e poteri forti» che denunciano la morte del riformismo dopo le scelte della Lista Prodi. «Ambienti - dice - per i quali il fallimento del centrodestra va accompagnato alla fine del bipolarismo o a un commissariamento tecnocratico delle istituzioni». Ma D'Alema non ci sta e va giù duro: «Non siamo quelli del tanto peggio, tanto meglio, come qualche improvvisato e ignorante commentatore si permette di scrivere in queste ore». E se il presidente dei Ds, così come Fassino, pur con parole diverse, avverte che «se la Lista Prodi prende il 36% e Forza Italia il 19 c'è la crisi di governo» una nota di preoccupazione emerge dal suo discorso: una nota che fa pensare ad una sorta di «competition» a sinistra: «Dobbiamo dare maggiore coesione alla lista, far capire che il voto a noi vale doppio. Il nostro elettorato è compatto, vota tutto per questa lista, ma in generale il rischio di dispersione c'è». D'Alema si limita qui a citare «il pensionato che vota per il partito dei pensionati o il consumatore che vota... evitiamo che un paese stanco possa sfogare questo malessere in mille direzioni». D'altronde, è lo stesso Rutelli che calca l'accento sul fatto che non sarà ripetuto l'errore della divisione e della dispersione e questa lista ne è l'esempio, in un paese dove sono state sempre premiate «le divisioni e le scissioni, qui ci sono quattro forze che hanno scommesso sull'unità, con un disegno di innovazione di cambiamento. Noi - dice - siamo all'attacco, non in difesa. La responsabilità dell'Iraq è loro, non dobbiamo sentirci noi responsabili, e sull'economia è il governo a non avere ricette». Anche Piero Fassino difende la posizione sull'Iraq perché, spiega: «L'Italia non può essere coinvolta in una vicenda dove si tortura. Da Berlusconi si è avuto solo uno show in Parlamento, un atto di impudenza in cui ci ha raccontato cose che già sapevamo sul piano di Brahimi». E a rispondere per primo agli attacchi di Cdl e di alcuni organi di stampa, ci pensa Giuliano Amato: «Siamo qui, siamo vivi, non si illuda chi dice che il riformismo è morto».

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