Prodi conferma, il leader è Bertinotti

Alla Convention dell'Ulivo Romano Prodi, con un breve passaggio, elimina dal campo tutte le ipotesi di presunte rotture e divisioni che hanno accompagnato la firma della mozione con la quale, giovedi scorso in Parlamento, l'opposizione ha chiesto al governo italiano il rientro delle truppe. E conferma che la svolta a sinistra della sua lista, che si è di fatto spostata sulla linea di Fausto Bertinotti, non è stata una decisione a caso. Anzi, è stata una decisione «presa assieme», sottolinea Prodi, ed è stata «giusta, responsabile e doverosa». Quindi, ha il suo pieno placet. Non solo. Il Professore si spinge e invoca apertamente il leader di Rifondazione comunista per il futuro: «Un saluto da qui, oggi e guardando al domani, va a Fausto Bertinotti e a tutti coloro che come noi - dice Prodi - lottano e lavorano per un'Italia e un mondo migliore e che in questi giorni con noi condividono la battaglia per la pace». Il presidente della Commissione Ue insiste: «Per noi - dice - la tortura è lo scempio dell'umanità e della coscienza al quale si doveva rispondere con una sola parola: basta. Basta, per non cadere nell'errore di vedere una svolta dove invece c'è soltanto una strada che prosegue dritta, per questo giovedì scorso abbiamo preso una decisione meditata, giusta e doverosa, presa assieme». Ma il leader non elude il problema che questa richiesta «è il segno che sono falliti gli sforzi della comunità internazionale, il segno di una sconfitta». Quindi, avverte: «Il 14 giugno non si torna a casa, ma si va avanti uniti nell'Ulivo al centro di una grande alleanza democratica», perché la Lista «non può essere solo una semplice alleanza elettorale». Piovono applausi il sostegno di Enrico Boselli; sulla nascita di una grande forza riformista come sbocco della Lista calcano anche gli altri leader, come Francesco Rutelli convinto che questa unione «continuerà dopo le europee con l'integrazione dei nostri partiti»; e come Massimo D'Alema per il quale «questo progetto non è valido solo per una campagna elettorale». Prodi attacca poi direttamente il governo, espone i rischi di questa Italia che sta «sprecando se stessa». Ma non fornisce un'alternativa, si limita a dire che c'è la necessità di «un gioco di squadra, a una solida forza politica, quello che noi stiamo costruendo». Il Professore ringrazia Lella Costa e Moni Ovadia e dice: «Noi siamo quelli che le promesse le mantengono anche senza un tavolo con il notaio». Trionfa l'estremismo. Tanto che un garbato signore come Pierluigi Bersani si spinge fino a dire che si può anche perdonare chi per una volta ha votato Berlusconi ma invece «bisogna mettere le dita negli occhi agli Schifani, ai Tajani e ai Bondi». Scoppia la polemica e lui rettifica in parte: era solo una metafora. È la giornata anche dell'antiamericanismo con Lilli Gruber in testa, che, insieme a Michele Santoro, va al cuore della platea mostrando la pagina di un giornale con la foto dell'iracheno torturato che cammina, coperto di escrementi. F. D. O.