Il leader di An apre la campagna elettorale: «Prodi si è alleato con black bloc e ultrasinistra»
Fini fissa i paletti della riforma fiscale: «L'aliquota del 45% per ora non si tocca, tuteliamo le famiglie monoreddito» «Siamo con chi fa fatica ad arrivare a fine mese»
difendiamo le fasce più deboli, quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Quelli che ce la fanno, posso attendere qualche tempo». Usa parole semplici, chiare, Gianfranco Fini. Parla al suo pubblico, all'apertura della campagna elettorale al Palacongressi di Roma. E il leader di An spiega la cifra del suo partito nel governo. Come appunto nelle scelte per la riforma fiscale. Il vicepremier fa una premessa: «C'è chi dice che c'è qualcuno che vuole dividere la Casa delle Libertà - prosegue Fini - noi non vogliamo dividerla, ma farla vincere». Quindi, a suo giudizio, «la riforma fiscale va fatta, è un dovere, ma bisogna capire con chiarezza dove si fanno i tagli. La spesa sociale non si tocca perché non si può dare con una mano e togliere con l'altra. Se noi abbassiamo le tasse e poi aumenta il biglietto del treno il cittadino se ne accorge: gli italiani non sono degli sprovveduti». E spiega più avanti in modo perentorio: «L'aliquota Irpef del 45% non si tocca» perché «non ci sono le risorse fiscali per abbassare le tasse anche a chi ha un reddito annuo superiore ai 70.000 euro, non si possono trovare ora 12-14 miliardi di euro e deve aspettare chi se lo può permettere». Sottolinea poi che coloro che superano quella soglia e dunque hanno l'aliquota al 45% sono appena 500mila, gli altri 38 milioni. Cifre che gli consentono di affermare: «Quando io dico che è più giusto pensare prima agli altri non interpreto il protagonismo della destra, ma la vera giustizia sociale». La parola d'ordine è quindi cominciare dalle fasce più deboli. Sui tempi precisa: «Non c'è una data limite per la riforma fiscale se non quella indicata dagli elettori. Ma non dagli elettori delle europee del 13 giugno, dagli elettori delle politiche del 2006, che sono le elezioni di fine legislatura». E proprio sulle riforme Fini si dilunga snocciolando i risultati del governo. Ricorda come l'ultimo governo del centrosinistra, quello presieduto da Giuliano Amato, aveva previsto di aumento del Pil del 3% all'anno «mentre noi ci siamo trovati ad affrontare due guerre e una crescita di meno di un terzo». «In questo contesto pensate che cosa avrebbe combinato un governo di centrosinistra - afferma - che ci aveva abituato a cambiare un ministro ogni dieci-undici mesi: noi invece abbiamo garantito stabilità politica, la crescita e le riforme strutturali». Ed elenca: la riforma del mercato del lavoro che ha consentito «flessibilità invece di lavoro nero o disoccupazione con un aumento costante degli occupati», la riforma del sistema pensionistico «per la quale la destra si è fatta sentire garantendo un cambiamento equo per tutti». «Oggi l'Europa - insiste - ha capito che se c'è un problema nella Cdl questo non è creato da An, che invece ha dimostrato di essere fattore di stabilità e di responsabilità». Ma un capitolo a parte il vicepremier lo dedica alla riforma della scuola: «La sinistra protesta perché quello che abbiamo fatto scardina uno dei loro principi. Loro per esempio hanno sempre detto che l'uguaglianza è il diritto di tutti di arrivare allo stesso punto: noi sosteniamo che invece che bisogna dare a tutti il diritto di partire dallo stesso punto, ma poi più avanti arriva il più bravo». Poi partono gli affondi al centrosinistra. Anzitutto nei confronti del suo leader: «Prodi è riuscito ad allearsi con i black bloc di Genova, con i girotondini e con l'ultrasinistra». Ma le battute più salaci sono sulla situazione in Iraq: «Non si ottiene la pace svetolando la bandiera arcobaleno». «Vedo troppa ipocrisia a sinistra - dichiara Fini in un altro passaggio -. La sinistra giustamente si indigna e si scandalizza davanti alle torture americane, ma poi balbetta di fronte a un gesto orribile come quello della decapitazione dell'americano Berg. Un gesto orribile commesso dai cosiddetti "resistenti" contro un cittadino proveniente dal Paese cosiddetto "occupante"». Infine, per il leader della destra, «dare più voti ad An significa dare più