di FABRIZIO DELL'OREFICE Secondo lei, dopo la visita in Vaticano del 4 giugno, George ...
Almeno su tre cose». Abbassa la voce come se stesse confessando qualcosa Rocco Buttiglione, ministro della Politiche Comunitarie. Il «filosofo del Papa» come è stato chiamato, spiega che si aspetta molto da quel giorno. Il presidente degli Usa vedrà infatti Giovanni Paolo II, dopo aver incontrato Berlusconi e Ciampi. Perché si aspetta tanto? Ovvero: perché Bush dovrebbe cambiare politica? «Perché è un cristiano anche se non cattolico». E allora? «Allora ha sempre dimostrato di avere grande attenzione verso la parola del Papa». E lo sarà anche questa volta? «Questa volta a maggior ragione». Che cosa si attende da quell'incontro? «Credo che Giovanni Paolo II chiederà tre cose. La prima è una maggiore determinatezza nella punizione dei soldati colpevoli dei casi di torture». La seconda? «La seconda richiesta sarà l'accelerazione del processo di pace attraverso il trasferimento dei poteri ad un'autorità locale civile. Naturalmente, dovrebbe essere il primo passaggio verso le nuove libere elezioni che si devono tenere in Iraq». E terzo punto? «La terza richiesta sarà la nascita di un Iraq libero fondato sul principio della tolleranza e sulla libertà religiosa. Sino ad oggi è mancata e penso che per il Papa sia questo un argomento centrale». Vuol dire che sino a quel giorno le truppe dovranno restare in Iraq? «No, questa è una sua libera interpretazione. Non credo che il Papa si occupi di questo». Ma questo è il suo giudizio? «Intende il mio? Certamente Rocco Buttiglione ha molti dubbi sulla guerra. Anzi, non ho problemi a dire che forse è stata un errore. Oggi però siamo in un altro dibattito che è: cosa fare ora?». Secondo lei il governo dovrebbe andare in aula a riferirlo? «Il governo non ha nulla in contrario perché non ha nulla da nascondere. Penso però che sul piano diplomatico non ci sono ancora decisioni di tale importanza da dover essere comunicate al Parlamento». Da dove dovrebbero arrivare queste novità? «Dal piano Ibrahimi, sul quale non veniva scommesso un centesimo e invece sta procedendo più velocemente di quanto si credesse». Ministro, lei pensa che possa arrivare a qualche risultato il piano del consigliere di Kofi Annan? «È quello che ci auguriamo. Il governo italiano sta facendo tutto ciò che è possibile perché ciò avvenga». Il caso delle torture sta influenzando la posizione dell'Ulivo che sta per decidere la richiesta del ritiro delle nostre truppe... «Ne è sicuro?». Almeno così pare... «Non so, il centrosinistra ha cambiato una quantità infinita di posizioni dall'inizio del conflitto. Prima hanno detto che puntavano tutto sull'Onu, ora che vedono che Ibrahimi sta per ottenere qualche risultato, hanno ancora cambiato obbiettivo. Hanno detto sì e poi no al ritiro delle truppe italiane una quantità infinita di volte. Abbiamo perso il conto». Lei non crede che accadrà presto anche alla maggioranza? «E perché? Non ne vedo il motivo. La Casa delle Libertà è compatta». Anche qui non sembrerebbe. Crescono almeno gli incerti sulla nostra missione in Iraq... «Non prevedo cambiamenti in Parlamento». L'opinione pubblica si è fatta più forte nei confronti di Bush e nei confronti anche di Blair che addirittura fa sapere che potrebbe dimettersi. Non crede che possa accadere anche in Italia? «Guardi, stiamo parlando di fenomeni diversi. Le truppe inglesi hanno fatto la guerra, quelle italiane no. Noi siamo andati a guerra finita e la nostra missione è umanitaria, per la pace e la libertà. E soprattutto, non c'è nessun comportamento lontanamente scorretto che possa imputarsi ai nostri militari». Ma Blair potrebbe lasciare, sino a pochi giorni fa era impensabile, o no? «Blair non ha detto che potrebbe ritirare le truppe. Ha fatto sapere, stando alle indiscrezioni, che potrebbe fare lui un passo indietro se, alle prossime elezioni, la sua persona creerà problemi di consensi ai Labour. Non c'è nessun cambio di pol