In Parlamento si lavora a una legge che riorganizzi il mondo del pallone
Ecco, è finito così (almeno per ora) il campionato di calcio della serie A. Il campionato più bello del mondo, si diceva una volta. Oggi si parla di anno zero del calcio, di stagione da dimenticare, pallone finito. E proprio per questo sta prendendo corpo in Parlamento l'ipotesi di una legge di sistema, possibilmente bipartisan, che riformi il mondo del calcio. È proprio ad un provvedimento che trovi d'accordo destra e sinistra che si sta lavorando in commissione Cultura della Camera, con l'impegno di un deputato dell'opposizione (Giovanni Lolli, Ds) e di uno della maggioranza (Nando Adornato, Forza Italia). Non è un caso, visto che la stagione che si avvia alla conclusione era cominciata con un decreto a furor di popolo: le piazze d'Italia piene, le proteste dei tifosi, la battaglia dei ricorsi ai Tar. Era appena l'estate scorsa. Toccò al governo approvare in fretta e furia un provvedimento per fare in modo che i campionati potessero prendere il via. E dire che l'esecutivo (presieduto da un presidente di calcio, Berlusconi) era già intervenuto qualche mese prima per dare il suo aiutino con il decreto spalmadebiti, che ha concesso alle squadre di serie A e B di «spalmare» in dieci anni la perdita di valore del proprio parco giocatori. Finito poi sotto la lente d'ingrandimento dell'Unione Europea perché ai limiti del concesso. Appena approvato lo «spalmadebiti», ne era già necessario un altro. I bilanci di Roma (non certificato dalla stessa società del caso Parmalat) e Lazio (bloccato dalla Deloitte & Touche) facevano acqua da tutte le parti. Di qui la richiesta di un nuovo decreto per ora respinta. Se le società sono deboli i tifosi diventano subito forti. Forse troppo. Al punto da scendere in campo e costringere i giocatori a interrompere il derby capitolino. Per tutto l'anno il tifo organizzato ha regalato molti calci e troppi pugni, sassi lanciati contro le forze dell'ordine, petardi contro i giocatori, risse, spintoni, mazzate. Sì, anche per questo è stato un anno da dimenticare. Ora la politica s'interroga. Lontano dai riflettori, la commissione cultura di Montecitorio sta svolgendo una indagine conoscitiva sul calcio professionistico. E, per i pochi che seguono i lavori, se ne sentono di belle. Per esempio il 20 aprile, Alberto Santa Maria, presidente della corte d'appello di secondo grado per l'ammissione delle squadre di calcio all'Uefa, ha sostanzialmente affermato che oggi l'intero ammontare dei diritti televisivi è di circa 200 miliardi di lire (in realtà, solo la Juventus incassa una cifra analoga). Il deputato dei diessino Lolli, lo ha subito contraddetto: «Scusi, ma è sicuro di quello che sta dicendo?». E Santa Maria: «Questo è quanto ci è stato detto e si tratta di dati che non ho avuto modo di controllare, visto che non faccio l'avvocato». Se non fa l'avvocato non fa certamente neanche il controllore: la situazione sembra sfuggire di mano agli stessi vertici del calcio. Lolli oggi aggiunge: «Se ne sono viste di peggiori nelle altre audizioni e la situazione è ancora peggiore in serie C, dove tredici società rischiano di saltare per i conti in disordine. Non c'è dubbio che in questa situazione bisogna pensare ad una legge di sistema, complessiva, che riorganizzi tutto il settore. Non è possibile procedere a interventi singoli». Per l'esponenete della Quercia la nuova legge dovrà prevedere una diversa distribuzione dei proventi televisivi («50% uguale per tuti, 50% in base ai meriti sportivi e i bacini d'utenza»), la salary cup («monte ingaggi per tutte le squadre al 60% dei ricavi»), divieto assoluto della multiproprietà («Gaucci docet») l'obbligo di avere giovani e italiani nelle rose... «Penso che su molti punti potremmo trovarci d'accordo», spiega il deputato dell'opposizione. Forse, visto che il presidente della commissione Adornato dal canto suo ha affermato che dalle audizioni sta emergendo «un mondo del calcio ch