«Non abbiamo dato troppi soldi agli statali»
Ciò significa che oltre un occupato su tre in Italia lavora con un accordo collettivo già scaduto (gli occupati nel nostro Paese non arrivano a 22 milioni, secondo gli ultimi dati Istat). A volte anche da molto tempo. Nel settore pubblico, ad esempio, c'è chi aspetta da oltre quattro anni il rinnovo del contratto, scaduto nel 2001. È il caso dei dirigenti pubblici, dei medici, dei lavoratori delle università e degli enti di ricerca. In tutto circa 270 mila persone, per le quali resta ancora lontana l'apertura del tavolo negoziale. Premono l'acceleratore delle trattative i circa tre milioni di lavoratori della pubblica amministrazione, intenzionati ad aprire subito il negoziato per il biennio economico 2004-2005. Cgil, Cisl e Uil chiedono un aumento salariale dell'8%, contro il 3,63% previsto in Finanziaria. Non va meglio nel settore privato. Sono coinvolti nel rinnovo, 1,8 milioni di lavoratori del commercio, 1,3 milioni dell'edilizia, 850 mila del tessile, 340 mila del credito e delle assicurazioni, 230 mila delle comunicazioni e spettacolo, 130 mila dei trasporti e 200 mila della chimica. Per circa 270 mila dipendenti del pubblico impiego non è ancora conclusa l'odissea del rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto addirittura nel 2001. Per i 170 mila lavoratori della dirigenza (cinque contratti nazionali, fra cui quello dei medici), l'Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione) non ha ancora ricevuto gli atti di indirizzo e quindi non può convocare le parti. In questa palude di casi irrisolti si intrecciano scontri e attriti. Innanzitutto fra il ministro del Welfare, Roberto Maroni, e i sindacati, che chiedono un aumento dell'8% contro il 3,6% previsto dal governo. Ma c'è maretta anche all'interno della maggioranza. E a provocare lo scompiglio è stato proprio Maroni, secondo il quale l'ultimo accordo per gli statali è stato «troppo oneroso». Con questa dichiarazione il ministro del Welfare ha provocato risentimento all'interno di An. Per l'accordo quadro che ha consentito il rinnovo dei precedenti contratti, nel febbraio 2002, si fece infatti garante il vicepremier, Gianfranco Fini. A protestare contro questa dichiarazione avventata è il sottosegretario alla Funzione pubblica, Learco Saporito, di An. Che cosa in particolare An contesta a Maroni? «Non è vero che abbiamo dato troppi soldi ai pubblici dipendenti nell'ultimo contratto firmato dal governo. Gli aumenti vanno fatti in base a calcoli precisi. Secondo An, se è vero che la richiesta dell'8% di aumento avanzata dai sindacati è esagerata, è vero anche che il 3,6% previsto dalla Finanziaria non è in grado nè di mantenere il ritmo del processo di incremento della produttività nelle pubbliche amministrazioni, nè di assicurare il recupero dell'indice di inflazione reale rispetto a quello programmato nel Dpef 2003-2004». E il richiamo alla collegialità? «Il ministro del Welfare non può chiedere la collegialità solo per quanto riguarda la definizione delle risorse per il rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti. La questione va posta al governo in sede collegiale unitamente alla riforma delle pensioni, al rilancio del Mezzogiorno, alla definizione della politica di sviluppo, al tema dell'innovazione del sistema produttivo. Per questo motivo va definito immediatamente il dipartimento affidato a Fini».