Il Csm insiste: i magistrati devono restare autonomi
No ad un sostanziale doppio concorso per l'accesso in magistratura di pm e giudici, che mette a «rischio» l'unitarietà della funzione giudiziaria. È il messaggio che il Csm invia al Parlamento nella «Relazione» approvata dal plenum ieri, alla presenza del ministro della Giustizia Roberto Castelli. Un documento che era stato proposto dalla Commissione Riforma all'unanimità. Un consenso che non si è raggiunto anche in plenum: la relazione è stata infatti approvata a larga maggioranza, con il voto contrario dei cinque consiglieri laici della Cdl. A favore hanno votato invece i 16 togati, i due laici di centrosinistra, il primo presidente e il pg della Cassazione, assieme al vicepresidente del Csm Rognoni. I laici del centrodestra hanno contestato innanzitutto la competenza del Csm ad intervenire con un documento come quello approvato ieri: il Consiglio, ha spiegato Giuseppe Di Federico (Fi), non è legittimato «ad essere il consulente del Parlamento». Ma il loro «no» è stato dettato anche da una non condivisione di «contenuti e prospettive» della relazione: «Un sistema di autoformazione non è il migliore», ha detto Nicola Buccico, sottolineando comunque come la formazione dei magistrati sia «un problema centrale che riguarda tutta la società». Nel merito di alcune delle proposte di riforma dell'ordinamento giudiziario, sulla «duplicità di concorsi» per entrare in magistratura, si ritiene che «attenua l'efficacia valutativa delle specifiche attitudini» assicurata invece dall'attuale meccanismo di accesso, «fondato sull'unico concorso e sull'unico tirocinio». «Incoerente - segnalano ancora i consiglieri di Palazzo dei Marescialli - è che si senta il bisogno di diversificare sin da subito, e ancor prima dell'accesso in magistratura, i profili funzionali del giudice e del pm, che comunque, per previsione costituzionale, appartengono allo stesso ordine giudiziario, quando invece l'obiettivo formativo principale è di esaltare i caratteri culturali comuni delle professioni di magistrato, giudice e pm, e avvocato. Il rischio - si afferma - è che si sacrifichi, in nome di una esasperata specializzazione professionale, il bisogno di mantenere l'unitarietà della funzione giudiziaria». Quanto all'organismo che dovrà occuparsi della formazione delle toghe, la «Scuola della magistratura», la struttura attuale ha «limiti intrinseci», rilevano i consiglieri di Palazzo dei Marescialli, mentre «soltanto un organismo dotato di risorse, mezzi e strutture proprie, di personale a tempo pieno, di autonomia gestionale, può essere in grado di erogare la formazione professionale in modo regolare, programmatico e universale». Quindi la realizzazione di una Scuola della magistratura «non è più rinviabile». Tuttavia, secondo il Csm, bisogna evitare un «rischio»: la formazione dei magistrati non deve tradursi «in uno strumento di omogeneizzazione delle soluzioni giurisprudenziali». Non si tratta infatti di «costruire percorsi decisionali precostituiti», ma di «fornire gli strumenti» che consentano al magistrato «di trovare da solo le soluzioni sostanziali più corrette e adeguate al caso concreto».