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L'ALLARME DI BANKITALIA

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«Perdiamo sex appeal: meno investitori esteri»

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È quanto emerge da un'indagine conoscitiva realizzata dall'Ufficio Studi della Banca d'Italia, che analizza i fattori alla base del ritardo accumulato dal nostro Paese nell'attrarre investimenti dall'estero, tra i quali primeggiano lo scarso sviluppo delle infrastrutture di trasporto e la ridotta taglia delle nostre imprese. Dopo il 1998, anno della definitiva rimozione dei controlli valutari, spiegano i ricercatori di Palazzo Koch, «l'espansione degli investimenti diretti esteri in Italia è stata assai debole». All'inizio degli anni '90 lo stock di tali investimenti era al 6% del Pil, valore superiore a quelli di Germania e Giappone, «due Paesi tradizionalmente chiusi agli investimenti esteri». Negli anni successivi «il divario con gli altri Paesi europei si è ampliato nettamente» e la Germania ci ha superato. «Pur raddoppiate rispetto al livello iniziale - continuano i ricercatori - alla fine del 2001 le nostre passività per investimenti diretti esteri risultavano inferiori non solo a quelle di tutti i paesi industriali ad eccezione del Giappone, ma anche a quelle di molti Paesi in via di sviluppo». Lo scarso «sex appeal» dell'Italia per gli investitori esteri è dovuto a diversi fattori, che sommati fanno premio su alcune indubbie attrattive. Tra queste il fatto che, come sottolinea la ricerca, «la dinamica salariale ha contribuito a mantenere il nostro costo del lavoro per unità di prodotto sui livelli più bassi riscontrati nell'area dell'Ue, segnatamente quelli dei Paesi della periferia europea come Grecia, Portogallo e Spagna». In più, anche la qualità del mercato del lavoro italiano si è avvicinata a quella di altri Paesi europei, «superando quella del mercato tedesco», notano i ricercatori citando dati della Economist Intelligence Unit, agenzia di rating internazionale. Vantaggi che si sommano alla dimensione del mercato interno, piuttosto ragguardevole. Ciò malgrado, il rapporto tra investimenti diretti esteri e il Pil in Italia resta «basso». Uno dei motivi è «la qualità delle nostre infrastrutture per il trasporto e la distribuzione commerciale dei prodotti, che risulta assai inferiore a quella dei maggiori competitori europei». Una lacuna aggravata dalla conformazione della Penisola.

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