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Maroni esulta: potevamo uscire dal governo, che ora invece è più forte. Tre senatori di An votano contro

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La Lega, che nel corso della giornata aveva avvertito: o si approva la legge o usciamo dal governo, esulta. Berlusconi sottolinea che la maggioranza è stabile. L'opposizione sostiene che così si disgrega l'unità nazionale, il vicepremier Fini ribatte che la sinistra dice bugie. A cantare vittoria piena è il Carroccio. Quello terminato ieri è solo il primo dei quattro passaggi parlamentari che la legge di riforma costituzionale deve superare. Al responso dell'aula (156 sì, 110 no, un astenuto) i senatori dell'opposizione si alzano in piedi e gridano «vergogna» mentre i senatori di An alzano cartelli con la scritta «nasce la nuova Italia». In precedenza, dopo l'approvazione dell'articolo 33 che contiene la devoluzione, l'opposizione era uscita dall'aula rifiutando di partecipare ulteriormente ai lavori, per rientrare, alla fine, a votare «no». «La notizia - dice Maroni dopo il voto - è che oggi il governo poteva cadere e che si poteva aprire una crisi molto grave: invece tutto è andato per il meglio e il governo è più solido». Da Bruxelles Silvio Berlusconi dichiara: «Non ho mai dubitato sulla compattezza della coalizione. Si cerca sempre di far apparire questa maggioranza come instabile, invece sono sempre stato convinto che sia stabile». Gianfranco Fini difende il provvedimento e polemizza con l'opposizione. «Affermare che con questa riforma si spacca il Paese, come fa la sinistra, è una clamorosa bugia. Basta pensare - dichiara - che nella riforma che il Senato sta approvando è reintrodotto il concetto di interesse nazionale, che il centrosinistra aveva abolito». Quindi, smentisce nettamente l'ipotesi che Milano possa essere sede del Senato delle Regioni: «La sede della Camera e del Senato è la capitale d'Italia». Peraltro, tre senatori di An hanno votato contro: Domenico Fisichella (secondo il quale al rafforzamento del premier deve accompagnarsi un chiarimento sul pluralismo dell'informazione), vicepresidente del Senato e storico difensore dello stato centralista, Franco Servello (che rileva «ambiguità che possono compromettere l'unità nazionale») e Renato Meduri. Meduri anzi, dopo la votazione, ha ricordato al ministro Castelli che aveva saltato coi «giovani padani» al grido di «chi non salta italiano è», ricevendone una risposta che lo ha fatto scattare al punto che è colleghi e commessi hanno dovuto trattenerlo fisicamente dal mettere le mani addosso all'esponente «padano». Quanto all'Udc, non ha mai fatto mistero di non digerire di buona grado alcune parti della riforma. Il premierato forte, con un primo ministro eletto in modo diretto dai cittadini e con il potere di nominare e revocare i ministri e di sciogliere la Camera, il federalismo chiesto dal Carroccio, con la devolution di nuovi poteri esclusivi alle Regioni in materia di sanità, istruzione e polizia locale, peraltro, hanno compattato l'opposizione, che fino all'altro ieri aveva continuato a polemizzare al suo interno sull'aggressione subita da Fassino alla marcia dei pacifisti a Roma, e che i Ds hanno letto come un tentativo degli alleati più a sinistra di rubare voti a Via Nazionale. Il governatore del Lazio Francesco Storace, dal canto suo ha commentato positivamente il fatto che in merito alla devolution «viene messa al bando l'ipocrisia su Roma Capitale; per la prima volta la città potrà decidere del proprio sviluppo. Mi aspetto che esaurite le polemiche il centrosinistra locale si renda conto di questa novità e sappia cogliere al volo le opportunità che vengono fornite». I governatori del Piemonte e della Lombardia, Ghigo e Formigoni, hanno detto che ora deve avanzare il federalismo fiscale che darà l'autonomia finanziaria alle regioni. D. T.

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