La Gasparri passa senza fiducia. Ora tocca al Senato

Un sospiro di sollievo per gran parte del mondo della Tv, ma un dubbio resta: dovremo o no continuare a tenerci la coppia Annunziata e Cattaneo a viale Mazzini? Pare di sì, almeno per un altro anno. Anche se già qualcuno parla del dopo Cattaneo con ipotesi Mauro Masi. Fra le scadenze principali che introduce la Gasparri (insieme alla privatizzazione della Rai, al passaggio definitivo al digitale entro il 2006 e alle nuove regole antitrust), quella che si riferisce ai vertici Rai, facendo i calcoli, tocca quasi la scadenza naturale del marzo 2005. Infatti, se i nuovi criteri di nomina (CdA a nove, sette nominati dalla Vigilanza e due dall'Economia) entrano in vigore tre mesi dopo la chiusura della prima offerta di vendita e questa poi viene avviata entro quattro mesi dalla fusione della Rai in Rai Holding, che a sua volta deve essere completata entro due mesi dall'entrata in vigore della Gasparri, ecco che dovrebbe passare un altro annetto con i due litiganti del servizio pubblico. «Abbiamo vinto il GP della Camera», commenta subito il ministro Gasparri. «Manca ancora una puntata - ricorda Gasparri - cioè il passaggio al Senato, dove la maggioranza è stata sempre compatta». L'augurio è che il sì definitivo di Palazzo Madama possa arrivare «prima delle elezioni». Per il ministro, i risultati delle votazioni rappresentano «una sconfitta delle opposizioni, che hanno solo sparso astio e menzogne su questi temi». Smentita l'altro giorno l'ipotesi di un ricorso alla fiducia, con la maggioranza al gran completo pronta ad approvare a tempo di record, l'unico brivido di ieri mattina è stato l'altolà della Lega Nord che ha puntato i piedi per difendere il federalismo: «Se l'esame delle riforme al Senato non dovesse riprendere con celerità siamo pronti a chiedere il rinvio del voto sulla Gasparri», avverte il capogruppo Alessandro Cè. Anche perchè, spiega, se gli impegni non vengono rispettati, il Carroccio è pronto a uscire dal governo. Facce pallide, ma per poco, poi tutto procede. Si esaminano i 36 ordini del giorno, accogliendone alcuni, e arriva la rassicurazione del premier: sulle riforme a Palazzo Madama si vota domani. Cè annuncia: la Lega dirà sì alla Gasparri. L'esecutivo è di nuovo al gran completo: con Gasparri ci sono Scajola, Frattini, Marzano, Buttiglione, Giovanardi, Urbani, Tremonti, Pisanu, Martino e Prestigiacomo. In Transatlantico si vedono diessini e comunisti con facce sconsolate. Giulietti chiacciera con i giornalisti mentre Rizzo telefona appartato. Arriva anche la Turco: non sembra di ottimo umore. Altro brivido: la relatrice leghista Bianchi Clerici chiede una modifica all'articolo 28 per salvaguardare la Vigilanza sulla Rai, e il Presidente Casini mette la richiesta ai voti. Finalmente lo scrutinio finale, segreto: 311 sì, 246 no, un astenuto, che è Vittorio Sgarbi. La Russa plaude alla «maggioranza compatta e coesa» e invita i cronisti a «controllare i voti: ho visto sì qualche franco tiratore, ma tra i deputati del centrosinistra». Casini ricorda che «quando la maggioranza è in Aula, cioè quando non c'è assenteismo parlamentare, e quando il clima politico è buono, il Parlamento risponde tempestivamente». Da An Butti sottolinea che la legge apre al futuro, «nonostante la disinformazione della sinistra». L'opposizione attacca: per il diessino Violante, «il voto è l'esito di una lunga serie di ricatti reciproci all' interno della Cdl», ma «di ricatto in ricatto, si sfascia l'Italia». Dalla Margherita, Gentiloni attacca An, mentre Castagnetti trova «mortificato il messaggio di Ciampi». Di Pietro fa sapere che l'Italia dei Valori è pronta a raccogliere le firme per abrogare la Gasparri con un referendum, proposta subito accolta da Bertinotti «solo se intorno ad esso ci sarà un largo consenso di tutti i movimenti di opposizione».