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«NON sono d'accordo che i militari italiani ma anche le truppe degli altri paesi vadano via dall'Iraq.

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Parole che pesano quelle di Margherita Coletta, di 34 anni, vedova del brigadiere Giuseppe, rimasto vittima con altre 18 persone a Nassiriya il 12 novembre dello scorso anno. E che nei giorni immediatamente successivi alla strage commosse tutti leggendo il Vangelo in tv. Margherita, si è trasferita con la figlioletta Maria di 2 anni da un paio di mesi ad Avola, nel siracusano, da San Vitaliano nel napoletano dove il marito prestava servizio presso la locale stazione dei carabinieri. «In Iraq c'è bisogno di ristabilire la pace. Gli iracheni hanno bisogno di aiuto, di ritrovare la loro dignità, di avere i servizi essenziali come l'acqua, la luce», prosegue la vedova Coletta. Quanto alle polemiche che sulla strage di Nassiriya sono divampate, la signora tiene a ribadire ciò che già aveva affermato nei giorni del lutto. «Non è vero che i carabinieri e i soldati sono stati mandati a morire. Mio marito - aggiunge - sapeva dei rischi che correva, era cosciente di tutto ciò, che sarebbe andato da un luogo diverso dall'Albania o dalla Bosnia. Quella a cui ha partecipato mio marito è stata una missione di pace, che io continuo a difendere». Sulla manifestazione in corso a Roma la vedova del brigadiere Coletta dice: «Manifestare per la pace è sempre possibile ma non bisogna solo parlare ma anche agire. Bisogna aiutare le persone, starle accanto, anche a costo di perdere la vita, come ha fatto Gesù per tutti noi. Non è mandando via - prosegue Margherita - le truppe dall'Iraq che la pace si riconquista». «Andare via da questo paese pieno di ferite, significherebbe lasciarlo in balia di qualche altro pazzo, senza valori, pronto a ordinare altre stragi. E poi... - sottolinea - andare via, pensando di salvarsi da eventuali attentati è sbagliato. Il nostro Paese è alleato degli americani e saremo sempre nel mirino di chi semina morte». «Mettiamoci - conclude - al posto degli iracheni, mettiamoci nelle vesti di questa gente che soffre e proviamo a pensare che ci farebbe piacere ricevere un aiuto, avere qualcuno che possa aiutarci di trovare la serenità e la pace». Ma a Nassiriya resta alto l'allarme per i militari, minacciati da un «nemico subdolo ed invisibile». L'avvertimento arriva dal comandante dei carabinieri il generale Guido Bellini, che nella notte tra venerdì e ieri ha accolto a Fiumicino 174 militari, di cui 124 proprio carabinieri, rientrati in Italia dal fronte caldo dell'Iraq. I nostri sono «professionisti seri» e tengono «la guardia sempre alta, evitando distrazioni», ricorda Bellini. Che aggiunge: «È un bel momento per voi e per me - dice il generale ai suoi uomini - vedere rientrare in Italia l'ultima parte del contingente che ha vissuto quella terribile esperienza a Nassiriya». I familiari, aggiunge, «hanno ragione a essere emozionati, perché la situazione in Iraq è sempre a rischio. Ma non bisogna neanche preoccuparsi eccessivamente, perché i nostri sono professionisti che sanno quello che fanno. E lo hanno dimostrato». Sul fronte interno «il nostro sistema di sicurezza - spiega - si è molto agguerrito per fronteggiare nel migliore dei modi questo rischio terribile rappresentato dal terrorismo globale, che si muove facilmente a livello internazionale, spunta di qua e di là. È un fenomeno con il quale dovremo fare i conti purtroppo per molto tempo. È una sfida per tutto il mondo occidentale, dobbiamo vivere questa situazione con grande consapevolezza».

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