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di LUIGI FRASCA FASSINO che entra nel corteo per il ritiro delle truppe dall'Iraq.

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La giornata del popolo diesse da separato in casa ha l'odore acre dei fumogeni e il sapore delle arance piovutegli addosso. Ha il colore della rabbia per esser stati cacciati da un corteo che è «casa nostra» ma anche quello dell'orgoglio per avere, nonostante tutto, conquistato il diritto di marciare per la pace e contro il terrorismo urlando a squarciagola «Bella Ciao» in mezzo ad una manifestazione che per buona parte non li voleva. Si era capito fin dalla mattina che non sarebbe stata una passeggiata. Già alle dieci di mattina, quando sotto il Botteghino i Disobbedienti hanno urlato al segretario Fassino «quanto sei struzzo» e hanno definito i Ds un partito di «ipocriti» e «indecenti». Ed è stato fin troppo chiaro quando lo spezzone con i simboli del partito è rimasto intrappolato in una angusta traversa di via Cavour ad attendere di poter entrare nel corteo al grido di «assassini, assassini» e «vergogna, vergogna» proveniente dagli altri manifestanti che intanto sfilavano per via Cavour. «Guardali lì quelli che ci fischiano e ci urlano dietro, guardali bene. Sono i nostri figli e i nostri fratelli. Anni e anni di battaglie insieme. Questo, oggi, è il loro concetto della democrazia» si sfoga Giancarlo, militante toscano. Già, perchè a contestare i Ds sono stati singoli manifestanti non identificabili. Ma anche gente che i vessilli li aveva: ed erano quelli di Rifondazione, del Pdci, del sindacalismo di base, dei Disobbedienti. «Compagni», insomma, gente di casa. Fassino è entrato alle 17:10, per ultimo: bandiere con la Quercia, della Cgil e della Sinistra Giovanile, striscioni con il simbolo del listone «Uniti per l'Ulivo» e la scritta «Con l'Onu per la pace, no al terrorismo no alla guerra». Giovani con il piercing, studenti del liceo e operai; militanti di sempre e facce nuove. Servizio d'ordine schierato a proteggere Fassino e gli stessi militanti. «Sono al mio posto - scandisce il segretario - come lo sono sempre stato a tutte le manifestazioni. Questa è una manifestazione che dice no alla guerra e no al terrorismo. Sono queste le due parole d'ordine che hanno percorso la grande manifestazione di due milioni di madrileni all'indomani dell'attentato di Madrid». Seguono scontri, tafferugli. Fassino è costretto a dileguarsi, messo in fuga dai suoi alleati. Esce dal corteo, la linea in quel momento è minimizzante: l'usicta era prevista, fa sapere il Botteghiono. Su via Cavour, però, si fa più difficile: sfilare tra due ali di urla, insulti, spintoni, arance e aste di bandiere che volano, non è facile. Sale la rabbia, sale l'orgoglio. «Alzate le mani, alzate le mani - urlano quelli del servizio d'ordine - siamo qui per la pace». All'ennesimo insulto, arrivato da un gruppetto con le bandiere di Rifondazione spalleggiato da un centinaio di giovani con i visi coperti, le mani però si abbassano. Gli scontri durano meno di dieci minuti: calci, schiaffi, qualche pugno, due persone finiscono per terra, poi lo spezzone diessino si scioglie. A fine serata la dura nota del partito che condanna contestazioni e violenze. «Fra quanti hanno scelto la via della divisione - scrive la segreteria - si sono distinti alcuni esponenti di forze alleate nella stessa coalizione di centrosinistra. Sarà bene che queste personalità, spesso elette sotto le insegne dell'Ulivo, e le forze che esse rappresentano, se ne assumano la responsabilità. Soprattutto - conclude la Quercia - se intendono perseguire coerentemente la strada dell'unità del centrosinistra, valore che non può vivere solo nelle parole ma deve vivere nei fatti». Solidarietà da parte della Margherita, che invita a interrogarsi «su eventuali più vaste responsabilità da parte di chi, anche tra i partiti, con spregiudicatezza ha soffiato sul fuoco delle polemiche contro la Lista Prodi solo per volgari ragioni elettoralistiche». I dl chiede poi a tutti gli alleati, compresa l'ala sinistra, di sconfessare gli episodi di o

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