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«I mujaheddin sono tra noi e possono colpirci»

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L'esperienza di Madrid ci fa temere che un cambiamento di strategia può avvenire in qualsiasi momento e trasformare l'Italia in un obiettivo. Nulla è prevedibile, tutto è possibile». E' quanto ha sottolineato il sostituto procuratore di Milano, Stefano Dambruoso, nella sua audizione al Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. L'unica difesa a questo punto ha speigato il pm Dambruoso: «è mantenere alta la tensione investigativa nelle indagini sul terrorismo islamico. Le numerose indagini hanno accertato che i mujaheddin utilizzano l'Italia come base logistica e di reclutamento per poi spostarsi in Afghanistan e Iraq. Non ci si deve allarmare, ma tenere alta la tensione investigativa perchè la strategia appunto si potrebbe modificare rapidamente e potrebbero operare direttamente in Italia». Come intervenire, dunque, nei confronti dei mujaheddin? «Il fatto è - ha spiegato Dambruoso - che siamo di fronte ad un vuoto legislativo. Oggi il mujaheddin non trova una sua collocazione giuridica. Ragionando in termini di norma, le persone pronte alla guerra santa non sarebbero punibili perchè da parte nostra c'è l'obbligo di dimostrare che è stato fatto un atto terroristico». Il problema, ha chiarito il pm milanese, è rappresentato dal fatto che «laddove si ha una comunicazione legata alla commissione di attentati terroristici di soggetti presenti in Italia, partiti dal nostro Paese, per trasformare quella informazione dobbiamo svolgere una commissione rogatoria. Ma a chi chiederla? Trasformare l'intelligence in evidence è uno dei problemi che più ci occupa e ci preoccupa». Come si conciliano le norme esistenti con l'esigenza di garantire la sicurezza? Senza dubbio, ha detto il pm milanese con «il mantenimento di uno stato di diritto che garantisca a tutti i cittadini gli stessi diritti di difesa resta un punto di riferimento insuperabile. Ciononostante - ha evidenziato ancora il pm - ci sono Paesi di antica e indiscussa tradizione democratica, come l'Inghilterra e gli Stati uniti che, condizionati da fatti di terrorismo, hanno emanato legislazioni speciali che sono espressione di quelle esigenze di lotta al fenomeno criminale». Sottolineato anche da EnzoBianco presidente del Copaco la necessità di un organismo che coordini le indagi sul terrorismo. «Ai vertici internazionali su questi temi - ha spiegato Bianco - per gli altri Paesi si presenta un solo procuratore, da noi invece si muovono in sei-sette: bisogna cambiare questa situazione». Per il pm Dambruoso, «si può dare la competenza sul terrorismo ad un segmento autonomo della Dna. Sarebbe preferibile una nuova struttura apposita, ma ci vorrebbe troppo tempo per realizzarla, quindi proprio per ragioni di speditezza, si fa preferire la soluzione Dna».

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