Prodi ha deciso: sta con la Margherita

Il «padre» della lista unica con la quale il centrosinistra tenterà la riscossa alle elezioni di primavera, arriva verso le 19, accompagnato da ripetute esecuzioni dell'inno europeo che interrompono Enzo Bianco che stava parlando. Poi, a sorpresa, interviene dal palco. Parla dell'attentato di Madrid, dell'Europa unita come fattore di sicurezza e pace, ma molti delegati colgono un riferimento critico implicito alle scelte del governo in politica estera, quando osserva che il terrorismo vuole creare la paura in una logica che porta alla guerra come risposta. «Noi non ci faremo catturare da questa logica omicida e suicida voluta dal terrorismo che ci vuole prigionieri della paura». E prosegue: «Siamo in pericolo di diventare burattini in mano a burattinai» mentre invece «per sconfiggere la paura ci vuole la politica e la democrazia» che è l'unica via da seguire. «Non ci faremo attrarre — dice - dal gorgo dell'odio». Ieri è stata la giornata degli ex popolari al congresso della Margherita a Rimini. Castagnetti, Marini, De Mita, Enrico Letta, hanno dato vita alla seconda giornata dei lavori: sono loro grosso modo la «seconda componente» intorno alla quale si compatta quasi la metà del partito, componente indispensabile per dare alla Margherita la possibilità di competere nell'area elettorale del centro. Castagnetti sostiene la necessità della lista unica come «modo per arrivare alle politiche del 2006 in condizioni diverse da quelle del 1998. Non ci sarà un partito unico — afferma — ma non ci sarà nemmeno la babele che ha diviso in passato il centrosinistra». Franco Marini, segretario organizzativo del partito, sostiene con forza le ragioni della scelta politica della Margherita e l'importanza del Congresso. «Congresso inutile? Impacchettato? No — dice — il partito è nato solo due anni fa. Rutelli non ha dato un carattere definitivo alla Margherita, ha solo potuto fare qualche sollecitazione. Ma dobbiamo ballare una sola estate? Io almeno altri due congressi con la Margherita li voglio fare». Tocca così il tema della lista unitaria, e delle specificità delle forze che la compongono, sottolineando come con i Ds vi sia competizione ma non senza regole e che il silenziatore al dibattito non serve. Quanto all'«anima» popolare del partito, questa, dice, non deve preoccupare: «Abbiamo fatto una cena di parlamentari popolari. Ne farei qualcuna di più». Quasi una standing ovation per Ciriaco De Mita che nel suo non intervento durato mezz'ora dice che quello che bisogna affrontare è una «battaglia per la democrazia». Anche lui ricorda che se il partito si è dato un organigramma «manca ancora un orizzonte politico» e un'identità chiara. Ammonisce quindi anche gli alleati della lista unitaria a non fondare la campagna elettorale sull'antiberlusconismo «che non giova, non produce». Quanto al futuro unitario o no, parla chiaro: «Non basta dire agli altri: se vi sciogliete voi ci sciogliamo anche noi, perché se gli altri lo fanno dobbiamo essere noi a non scioglierci». Enrico Letta ha duramente attaccato la Casa delle Libertà e in particolare Berlusconi, definendo Forza Italia «il partito della finzione». Si è poi tra l'altro rivolto al mondo economico e all'industria dicendo: «Non ci importa chi hanno votato nel 2001 importa cosa si può fare di meglio». Il discorso di Letta era atteso anche perché il suo nome era connesso a una iniziativa anti-Rutelli di alcuni delegati del nord che volevano presentare un ordine del giorno mirante ad anticipare il prossimo congresso e quindi abbreviare il mandato del leader. Ma lo stesso Letta con Marini e Castagnetti, si è adoperato poi per fermare la raccolta di firme sul documento. Oltre alla questione di fondo dell'identità del partito, dei rapporti con gli alleati della lista unica, e del timore che un partito nato da poco possa finire per scomparire, il Congresso ha toccato, ma solo sfiorandolo, un altro problema di base. La Margherita è stata disegnata come un partito c