Conflitto di interessi, secondo round al Senato
Tra martedì e mercoledì della prossima settimana l'aula di palazzo Madama sarà chiamata a votare per la seconda volta in questa legislatura. Ma non si tratterà dell'approvazione definitiva. Come annunciato a sorpresa giovedì scorso in aula dal relatore di maggioranza Pastore, vi è ancora un errore tecnico nella copertura prevista alla Camera che richiederà un terzo voto dell'aula di Montecitorio. «La verità - protesta l'opposizione, dopo che analogo errore tecnico era stato registrato già a Montecitorio comportando il ritorno del testo al Senato - è che la maggioranza fa ostruzionismo alla sua stessa bruttissima legge perché comunque impedirebbe a Berlusconi di porre la fiducia sulla riforma Gasparri. E dunque questa legge fino al voto sulla Gasparri non vedrà la luce». Questioni di copertura finanziaria a parte, l'ok di Camera e Senato, con i voti della sola CdL, alle disposizioni di merito della legge risale a otto mesi fa. Il nuovo voto di palazzo Madama doveva servire solo a prevedere la copertura finanziaria per le nuove spese nella legge finanziaria. Peccato, però, che Montecitorio ha fatto riferimento alla finanziaria 2003, mentre il voto finale è nel frattempo slittato al 2004. Ed è per questa ulteriore correzione formale che la maggioranza ha annunciato ieri che dopo il voto del Senato dovrà essercene un altro ancora a Montecitorio. Sia come sia per il futuro, correva l'anno 1994 e a palazzo Chigi sedeva il primo governo Berlusconi, quando in Parlamento furono presentate tre distinte proposte di legge: una del governo e due del centrosinistra. In quella breve legislatura (nel 1996 si tornò a votare) l'iter parlamentare mosse solo pochi passi. Fu invece nella scorsa legislatura, che si arrivò al primo voto da parte di una delle assemblee. Avvenne quando la Camera, relatore l'allora deputato di opposizione Franco Frattini, approvò quasi all'unanimità un testo sul conflitto di interessi basato sulla soluzione del blind trust: fondo cieco al quale i chiamati ad incarichi pubblici avrebbero dovuto affidare senza vincoli di mandato i loro patrimoni fino alla fine del loro incarico. La legge, però, rimase poi ferma per tutta la durata dei lavori della commissione bicamerale per le riforme nel cui progetto si prevedeva in Costituzione l'obbligo di disciplinare per legge il conlitto di interessi. E, negli ultimi giorni della scorsa legislatura, il Senato con i soli voti dell'Ulivo approvò una legge (relatrice Marida Dentamaro) del tutto diversa da quella della Camera che stabiliva il principio dell'obbligo di scegliere fra incarichi pubblici e mantenimento di proprietà e/o controllo di patrimoni di un determinato valore.