«Europee, la partita non è affatto scontata»
Enrico Gasbarra, 42 anni da compiere ad agosto, da quasi un anno alla guida della Provincia di Roma dopo aver sbaragliato l'avversario uscente Silvano Moffa (An) con quasi un milione di voti personali, parla di politica nazionale ma racconta anche che è appena tornato da una visita a Marcellina, minuscolo borgo alle porte di Roma dove un presidente della Provincia non lo hanno mai visto. Uno «strabismo» che lo contraddistingue da sempre, da quando era allo stesso tempo consigliere comunale ma anche tra i fondatori del Ppi «in un momento — racconta — in cui prese corpo un progetto di resistenza a una deriva nella società politica». Gasbarra lei ha iniziato da presidente del I Municipio, poi è diventato consigliere comunale, assessore, consigliere regionale, vicesindaco e presidente della Provincia. Ha deciso cosa vorrà fare da grande? «È già grande quello che sto facendo ora. Essere il capo di una coalizione a 40 anni non è un'esperienza che capita a tutti. Continuerò a lavorare per questa amministrazione per fargli cambiare passo e, ovviamente, continuerò a sentire e a pensare di politica». C'è un fatto curioso nelle sue scelte: ogni volta è stato tirato per la giacca, ha giurato e spergiurato che mai nessuno lo avrebbe convinto a candidarsi di nuovo e poi invece lo ha fatto. Sembra che sia una strategia, peraltro azzeccata, visto che ogni volta ha stravinto... «No, non è una strategia. È veramente andata così, anche se non dovrei dirlo. Per me la qualità della vita è importante così come la voglia di completare un servizio iniziato. Per questo ho sempre fatto resistenza ogni volta che mi hanno proposto di cambiare. Però, ogni volta, quello che alla fine mi ha convinto è stato il progetto e il servizio al progetto. Ovviamente con grande peggioramento di quella famosa qualità della vita, visto che credo di essere tra i pochi che quasi ogni anno e mezzo si è sottoposto al giudizio degli elettori. Ho sempre avuto molte candidature e pochi incarichi fuori dal consenso della gente». A giugno ci sono le elezioni europee. Continuerà nel suo tour de force di candidature? «Al momento non è nei miei obiettivi. Ho, appunto, un incarico da portare a termine» Però sarà sicuramente un appuntamento importante per quella lista Prodi in cui lei crede tanto «Sicuramente. Ma la classe dirigente del centrosinistra non deve pensare che si vince perché gli altri sbagliano. È vero che c'è la consapevolezza che questo Governo non sta uscendo a testa alta, che il paese è in seria difficoltà, ma noi dobbiamo sapere che si vince solo se c'è un progetto. E la partita non è affatto scontata». Nella sinistra comunque c'è una grande euforia. Anche se, a dir la verità, le divisioni non sembrano del tutto superate «È vero, per questo io prima avrei organizzato gli Stati generali della coalizione, con tutti gli amministratori, tutti i movimenti e i partiti. E avrei steso una carta con i 15 punti fondamentali: tra cui stato sociale, modello economico e l'uomo da mettere alla guida. Perché l'importante è il progetto. E il progetto Prodi deve avere la forza di aprire una nuova stagione riformatrice. Perché la Dc e il Pci erano forti? Perché rideterminarono un nuovo patto sociale. Il centrosinistra deve avere lo stesso obiettivo: gettare il seme di un progetto che diventi alternativo al paese attuale. Ma chiedo anche un po' di coraggio in più ai Ds, allo Sdi, alla stessa Margherita: facciamo liste unitarie anche a livello amministrativo». I vari movimenti nati nel centrosinistra sono stati più una risorsa o un problema? «In politica alcune volte si creano delle situazioni di incomunicabilità perché non c'è dialogo. Per