Il caro-euro regala a Tremonti 5,6 miliardi

E Giulio Tremonti ne ha prova ormai inconfutabile. Una prova che vale 5,6 miliardi di euro. Ed è l'assegno che lo stesso ministro ha messo al sicuro nelle casse dello Stato fra il primo gennaio 2002 e il 30 settembre 2003. A 5,6 miliardi ammonta infatti in quel periodo la crescita degli incassi netti dello Stato da Iva: 3,344 miliardi nel 2002 e 2,269 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2003. Una crescita straordinaria, pari al 3,9% netto nel 2002 e al 3,5% netto nei primi nove mesi del 2003. Una crescita quasi inspiegabile, perchè nello stesso periodo i consumi sono risultati stagnanti quando non in retromarcia, e il pil è risultato altrettanto fermo. Non c'è stata maggiore vendita di merci, eppure le entrate statali lorde sulle imposte indirette sono cresciute addirittura del 6 per cento, più del doppio del tasso di inflazione ufficiale. È chiaro anche a chi non è un esperto in economia che la lievitazione dell'Iva è spiegabile in un solo modo: con la lievitazione dei prezzi. Il tasso di crescita di questa voce delle imposte indirette nel bilancio dello stato è sostanzialmente raddoppiato dall'inizio del 2002, e cioè proprio in coincidenza con l'avvio dell'euro. I prezzi sono stati effettivamente gonfiati più di quanto l'Istat sia riuscito a cogliere nelle statistiche ufficiali, e il primo a beneficiarne è stato proprio Tremonti. Che evidentemente non aveva alcun vantaggio nel segnalare il fenomeno, visto che con quelle entrate straordinarie ha retto i conti pubblici in un momento particolarmente difficile dell'economia mondiale. E infatti il ministro dell'Economia e delle Finanze si è ben guardato dal polemizzare sul caro-euro fino all'inizio di questo 2004, agli albori della campagna elettorale per le europee in cui il tema della lievitazione dei prezzi sembra centrale. A registrare senza alcuna enfasi l'andamento anomalo delle entrate è stato però lo stesso ministero dell'Economia e delle Finanze nei suoi documenti ufficiali. Prendiamo ad esempio la «Relazione sulla stima del fabbisogno di cassa per l'anno 2003 e situazione di cassa al 31 dicembre 2002» inviata in Parlamento dallo stesso Tremonti. «La crescita reale del Pil è risultata dello 0,4 per cento, segnando un rallentamento rispetto alla dinamica dell'anno precedente», si avvisa nella premessa, aggiungendo che «l'aumento dei consumi privati interni è stato pari allo 0,4 per cento». Eppure le imposte indirette, che nel 2000 ammontavano a 175,2 miliardi di euro, nel 2001 a 176,5 miliardi di euro, nel 2002 schizzano all'improvviso a 183,6 miliardi di euro. Una crescita del 4 per cento contro una crescita precedente dello 0,8 per cento. La relazione spiega: «per il complesso delle imposte indirette si registra un aumento di milioni 5.915, pari al 4,1 per cento, acsrivibile principalmente alla categoria del lotto (+ milioni 1.137, pari al 14,7%), e a talune imposte sugli affari quali l'Iva netta (+ milioni 3.344, pari al 3,9%)». Per il lotto il ministro dell'Economia conosceva bene il motivo, avendo aumentato dal primo gennaio dello stesso anno la giocata minima dalle vecchie mille lire al nuovissimo 1 euro. Sempre Tremonti in un altro dei documenti chiave della finanza pubblica, la «Relazione generale sulla situazione economica del Paese- 2002», spiega che «nel corso del 2002 i consumi delle famiglie residenti sono aumentati dello 0,4% in termini reali. Il deterioramento del clima politico internazionale e la crisi della Fiat hanno indotto comportamenti di spesa piuttosto cauti, nonostante l'evoluzione positiva del reddito disponibile». Eppure le imposte dirette (Irpef, Irpeg etc.) si sono ridotte, quelle indirette sono cresciute complessivamente del 4,1%. Il fenomeno si è ripetuto nel 2003. Per i primi nove mesi dell'anno «la quota del gettito totale relativa alle imposte indirette è stata pari a 112.756 milioni di euro, in aumento di 6.289 milioni di euro (+5,9%). Tra le imposte indirette l'Iva ha generato un gettito di periodo di 66.650 milioni di euro (+2.269 milioni di