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Quel martire condannato a due ergastoli

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Come mai un simile accanimento della polizia parigina contro un proletario di tal fatta, ci si potrebbe chiedere? E come mai si sono immediatamente levati appelli sia in rete che sui giornali di tante «personalità» francesi e italiane in sua difesa? L'acuto lettore dovrebbe aver già intuito qualcosa: ci troviamo, poveri noi, di fronte ad un nuovo «caso Sofri». La giustizia ha messo in ceppi un altro famoso intellettuale, scrittore coi controfiocchi, che ha pubblicato nella «prestigiosa collana serie noire di Gallimard» ben tredici romanzi in dieci anni, tredici polar. Inaudito! ma come si osa rinchiudere nella Santé, in attesa che i giudici transalpini decidano sulla richiesta d'estradizione avanzata a suo tempo da Roma, un intrepido uomo di cultura che così non potrà più esprimere il suo pensiero (ma non è detto: si veda appunto, il caso di Sofri)? A leggere i giornali della variegata Sinistra italiana non si riesce proprio a capire il motivo di tanto accanimento. Ma forse è il caso di approfondire: il giovane Cesare a venticinque anni era il leader dei PAC, i Proletari armati per i comunismo, un gruppo colpevole di ferimenti e omicidi. Arrestato, fuggì dopo un assalto al carcere di Frosinone nel 1981, si rifugiò in Messico, nel 1989 approdò in Francia dove nel 1991 venne respinta una prima richiesta di estradizione in base alla cosiddetta «dottrina Mitterrand» che l'attuale governo francese non intende più applicare. Perché la richiesta di estradizione? Perché la Corte d'Assise d'Appello di Milano nel 1985 ha condannato Cesare Battisti pronipote a due ergastoli: per aver assassinato il 6 giugno 1978 il maresciallo Antonio Santoro a Udine, e il 16 febbraio 1979 a Milano il gioielliere Luigi Torreggiani, ferendo alla spina dorsale il figlio quindicenne, da allora su una sedia a rotelle, dolorosa prova vivente della «giustizia proletaria». Semplice, purtroppo. Di tutto questo negli appelli in pro del nuovo intellettuale martire non si parla, o se se ne parla è per dire che si tratta di falsità. In più Oreste Scalzone, il leader di Potere Operaio «emigrato» anch'esso a Parigi, afferma preoccupatissimo: «Ancora una vita raggiunta dall'ombra di un passato remoto, una sorta di vendetta tanto ritardata da non avere più alcun ragionevole nesso con i suoi motivi o pretesti». Peccato che a questo «ritardo» la giustizia italiana sia stata costretta per l'evasione di prigione di Battisti e per il rifiuto di estradizione! E peccato che questo acuto ragionamento sul «non avere più alcun ragionevole nesso» a motivo del «passato remoto», sia da applicare soltanto ai delitti compiuti da personaggi classificabili «rivoluzionari» o «di sinistra». E se provassimo ad applicarlo al novantenne capitano Erich Priebke condannato all'ergastolo per un delitto di sessanta anni fa che un precedente processo aveva dato per assolto, che reazioni vi sarebbero? Però, però... Il terrorista/giallista/portinaio a venticinque anni dagli eventi di cui è stato in ogni caso protagnista, ci si potrebbe chiedere, si è pentito o non si è pentito? ha fatto o non ha fatto ammenda dei suoi trascorsi? ha riconosciuto o non ha riconosciuti certi errori? ha «chiesto scusa» a colui che è stato ridotto ad un paraplegico? Una risposta potrebbe essere determinante. Non sembra che in interviste, prefazioni e siti in rete il diretto interessato abbia smentito o avuto un ripensamento su nulla. Onore alla coerenza e all'orgoglio per le proprie idee, ma poi non venga a lamentarsi delle conseguenze, magari usando come paravento la sua nuova immagine di scrittore di successo e quei tredici pregevoli romanzi in cui ha rielaborato e giustificato quel che ha fatto, tanto che, come scrive Cesare Martinetti, «nell'immaginario francese a

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