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Riforme, stop sul Senato dipendente dalle Regioni

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La nuova «Camera Alta» verrebbe legata alla durata delle assemblee locali

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La decisione di accantonare l'articolo 6 è stata presa perché è collegato con l'articolo 3, anch'esso messo da parte nella seduta di martedì. Entrambi riguardano la composizione del Senato federale e la sua durata. Non ha trovato infatti piena concordia nella maggioranza un emendamento del relatore D'Onofrio all'art. 3 che prevede che l'elezione dei senatori di una regione avvenga contestualmente a quella del consiglio regionale. Questa norma piace molto a Bossi ed è stata recepita nell'intesa raggiunta lunedì notte tra lo stesso Senatùr e i quattro «saggi» della Cdl (Nania, Pastore, Calderoli e lo stesso D'Onofrio). Sarebbero in parecchi nella maggioranza a non volere una norma che comporterebbe anche, come ha osservato durante il dibattito il diessino Villone, il mandare a casa i senatori in caso di crisi nella regione alla quale sono legati. In An e nell'Udc, e ma anche in FI, prevedono che andrà a finire che per loro conterà più il presidente della regione (o addirittura un qualche piccolo gruppo minoritario ma determinante per la situazione locale) che qualsiasi altro motivo politico nazionale. Calderoli, coordinatore della Lega e vicepresidente del Senato, conferma: «È esattamente così, il Senato federale esce dalla logica della maggioranza politica; i senatori risponderanno più a una maggioranza legata agli interessi territoriali. Il Senato, quando il sistema andrà a regime - aggiunge Calderoli - non avrà più una durata di legislatura, come oggi; sarà un organismo permanente che avrà la parte corrispondente alla regione che verrà sostituita in coincidenza con le elezioni Regionali». D'Onofrio ammette che i problemi ci sono: «La maggior parte dei senatori, e non solo i miei (D'Onofrio è capogruppo dell'Udc, n.d.r.) , non accetta questa logica. Ma se vogliamo fare un Senato veramente federale o prendiamo il modello del Bundesrat tedesco, in cui sono presenti gli assessori regionali, oppure manteniamo un sistema elettivo ma accettando questa impostazione». Va rilevato, peraltro, che nel centrosinistra c'è una situazione quasi speculare a quella della Cdl a questo proposito. Infatti non tutti i senatori dell'opposizione sono contrari all'emendamento «bossiano»: Morando (ala liberal) e l'ex sindaco di Bologna, Walter Vitali, sono favorevoli al principio. Fino a martedì, si presume quindi, all'interno della Cdl verrà fatta opera di convinzione e ricompattamento. D'Onofrio e Nania hanno fatto osservare che l'emendamento in questione rinvia l'attuazione della nuova norma costituzionale a una ulteriore legge da farsi, che probabilmente non verrà messa in campo a tamburo battente. Inoltre, il prossimo senato verrebbe comunque eletto con il sistema attuale Ieri, quindi, sono stati approvati due articoli, il 4 e il 5. Il primo sostituisce l'art. 58 della Costituzione con il seguente: «Sono eleggibili a senatori di una Regione gli elettori che hanno compiuto i quaranta anni di età e hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all'interno della Regione, o sono stati eletti senatori o deputati nella Regione o risiedono nella Regione alla data di indizione delle elezioni». Il secondo è il nuovo secondo comma dell'art. 59: «Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campa sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero totale dei senatori di nomina presidenziale non può in alcun caso essere superiore a tre». Intanto, la riforma continua a non piacere alle organizzazioni degli enti locali. Sia la Conferenza dei presidenti delle Regioni, che l'Upi (Province) che l'Anci (Comuni) ieri hanno «bocciato» il Senato federale che si profila. D. T.

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