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La Lega fa il ribaltone. Solo per due ore

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Rompe in Consiglio dei ministri e vota con l'opposizione alla Camera. Poi arriva Bossi

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Proprio quando il dibattito nel governo si accende. Umberto Bossi non c'è, è al Senato per le riforme. Nella sede della presidenza del Consiglio si sta discutendo dell'Authority del risparmio, in particolare sulle pene da applicare a coloro che truffano i risparmiatori. La discussione procede disordinatamente, i vari ministri si parlano addosso. Tremonti le vorrebbe dure, durissime, ma sa che Berlusconi non è d'accordo. Buttiglione è con il premier, Alemanno è a metà strada. Maroni è il più battagliero perché non vuole, come ha detto pochi giorni fa, una Tangentopoli due. Il timore di molti è di far nascere un nuovo reato che finirà nelle mani della (odiata da qualcuno) Procura di Milano che in questo modo, con la scusa di Tanzi, potrà mettere sotto inchiesta anche altri imprenditori. Insomma, che possa ripartire una nuova Mani Pulite e che possa mettere ritorcersi contro la Casa delle Libertà. Il ministro del Welfare insiste, supportato da un altro esponente leghista, Roberto Castelli, che presiede proprio il dicastero della Giustizia. E proprio gli uffici di via Arenula hanno predisposto una lunga serie di pareri giuridici per evitare pene troppo alte. La battaglia è persa, anche Tremonti vuole andare avanti. Castelli sbatte i pugni e va via, Maroni resiste, resiste, resiste ma dopo dieci minuti anche lui crolla. Si alza e se ne va. Per Berlusocni è troppo, significherebbe davvero la rottura con la Lega. Per giunta su una questione per la quale è d'accordo con quelli dle Carroccio. Il premier s'avvia verso l'uscita e insegue Maroni, urla nei corridoi di Palazzo Chigi: «Roberto, dove vai? Vieni qui, devo dirti uan cosa, aspetta, devo parlarti». Il leghista di punta verrà riportato in Consiglio dei ministri, si decide di dare il via libera alla riforma del risparmio ma Maroni si astiene. Ma il testo è ancora aperto, mancano alcuni punti, si decide di rinviare tutto ad una successiva riunione dei tecnici che si svolge nella stanza del sottosegretario alla presidenza Gianni Letta. Giulio Tremonti percorre il corridoio che lo porta alla stanza di Letta scherzosamente strisciando spalle al muro; chi lo guarda sorride e lui si giustifica: «Sapete com'è, qui si rischia». Mentre a Palazzo Chigi si tratta ancora, alla Camera la Lega parte lancia in resta, un pezzo del Carroccio si mette a votare negli scrutini segreti con l'opposizione. Persino una moderata come Giovanna Bianchi Clerici afferma: «Se gli alleati sono leali con noi sulle riforme, noi lo siamo altrettanto sul resto. Altrimenti...». Un'altro pezzo (tra cui Stefani, Giorgetti) esce dall'aula: non sa cosa fare. Viene richiamata di corsa in aula dal solerte Caparini. Arriva Bossi trafelato, cerca subito Tremonti, i due si mettono in angolo della buvette, si discute fitto fitto. Si media, si cerca un'intesa con il ministro dell'Economia che fa il democristiano e smussa gli angoli. Due chiacchiere di qua con Bossi, due paroline di là con Alemanno. Alla fine il Senatùr sentenzia: «Maroni non ha letto bene il testo». Significa che non è stato raggiunto il testo. Anche se il ministro del Welfare si leva l'ultimo sassolino dalla scarpa: «È un provvedimento importante chè potrà essere migliorato dal Parlamento». Come dire: la battaglia non è finita. F. D. O.

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