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SULL'"affaire" Parmalat non credo sia il caso di fare dell'ironia.

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Anche se ahimè è molto difficile controbattere le truffe, soprattutto quando queste vengono perpetrate da un'associazione a delinquere con compiacenti complicità da parte di chi avrebbe dovuto controllare. Mi riferisco in particolare ai revisori e a tutti coloro che, soprattutto all'estero, hanno permesso giri finanziari così sofisticati. Cerchiamo di riflettere perché, non solo il sistema bancario, ma anche quello dei risparmiatori, risulta particolarmente colpito. Qualche anno fa, il dissesto di un'azienda saliva agli onori delle cronache e all'attenzione dell'opinione pubblica, quando migliaia di persone vedevano in pericolo il loro posto di lavoro. Il problema che si pone ora in tutta la sua gravità è la salvaguardia del risparmio. L'Italia, è noto, è un paese povero di materie prime, che vengono importate per essere oggetto di trasformazione. La materia prima, della quale fino a poco tempo fa siamo stati i maggiori produttori nel mondo, è stata il risparmio. Il nostro è stato sempre considerato un paese povero, ancorché luogo di bellezze naturali ed artistiche e luogo dove, il tenore di vita, è stato sempre mediamente più alto di altri paesi occidentali. Ma è stato un paese dove la gente, che teneva la liretta nel borsellino, aveva un alto senso del risparmio. Il risparmio è stato il nostro petrolio, la materia prima per eccellenza, che ha messo in moto la produttività. Grazie al risparmio di milioni di "formiche", sono state possibili molte iniziative che, appunto, venivano alimentate grazie a quanto i cittadini mettevano da parte. Tale è l'importanza del risparmio nel nostro paese che, i nostri padri costituenti, ne sancirono la tutela, inserendo l'argomento nella nostra costituzione. Ma cerchiamo di capire come e perché molti risparmiatori hanno canalizzato i loro risparmi verso i cosiddetti "corporate bond", che rappresentano titoli obbligazionari emessi da aziende private, quotate o no alla Borsa. Dopo la seconda guerra mondiale è iniziata la ricostruzione del paese che portò l'Italia, intorno agli anni 60, ad essere una delle prime nazioni più industrializzate e a far sì che, la comunità internazionale, conferisse l'Oscar alla nostra moneta. Il sistema bancario italiano era molto frazionato e capillarmente presente nel territorio. C'erano zone nelle quali le banche raccoglievano forti quantità di risparmio, che veniva immesso in libretti di risparmio. Per tutta una serie di provvedimenti di politica economica, lo Stato, che era dappertutto, si cominciò ad indebitare fortemente invero con l'incremento dei prezzi che, conseguentemente, fece impennare il costo del denaro. Lo Stato, anziché stampare moneta, emise a getto continuo i BOT e i CCT che rendevano molto e bene e che venivano considerati privi di rischio. Fu una manna, per chi risparmiava, perché il suo gruzzoletto aumentava e permetteva anche di dedicare, parte del reddito, al consumo. Grandi polemiche, risparmio sottratto alle iniziative economiche e Borsa (il mercato dei titoli azionari) ridotta ad un povero mercatino rionale. Verso la metà degli anni 80 ci fu un boom della Borsa. Il corso dei titoli saliva vertiginosamente e tutti pensavano di potersi arricchire facilmente. Il risveglio amaro, le ferite molte. Depressione della Borsa, ingresso nell'Euro e, precedentemente, modifica dell'assetto organizzativo e dimensionale delle banche. Le aziende italiane hanno avuto, da sempre, la caratteristica della piccola dimensione e della sottocapitalizzazione. Si sono sempre finanziate mediante il ricorso al credito bancario a breve, ovvero contraendo mutui presso le banche specializzate. Ora la banca è universale: può fare tutto. Con l'ingresso dell'euro, i tassi d'interesse si sono abbassati e (è paradossale, ma è così) i prezzi si sono alzati. E, "i bot people", non sanno come ricevere qualcosa dal loro gruzzolo. Sono stati indirizzati verso remunerazioni più alte (bond argentini, bond Cirio e bond Parmalat, oltre ad altri,

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