Lega verso la rottura: «Andiamo via»
Al Carroccio aspettano che passi la devolution, la resa dei conti avverrà dopo
..Se aveste le palle, portereste milioni di persone in piazza». Giancarlo Giorgetti, presidente della commissione Bilancio della Camera e "ufficiale di collegamento" tra Lega e Tremonti, s'avvicina ai banchi del centrosinistra e sfotte un po' un deputato dei Ds e poi butta giù quella battuta. Un po' scherzosa - ma solo un po' - e molto seria. La Lega soffre, raccontano i suoi. Tra le fila del Carroccio tira l'aria del '94, anche se tutti in pubblico si limitano a smentire. Gli uomini di Bossi avvertono che non si può andare ancora avanti a lungo così. Lo stanno dicendo da tempo al leader che per ora tiene tutti calmi. Il «problema» è che il popolo del Nord Est, il popolo della partita Iva, il popolo della devolution, insomma l'elettorato della Lega non è contento del governo e sembra ogni giorno che passa più insoddisfatto. «Sa, una decina di giorni fa - racconta Stefano Stefani, uno degli uomini più vicini al Senatùr - siamo andati nel Bresciano per un comizio. La gente ad un certo punto ha cominciato a urlare: "se-ces-sione, se-ces-sione". Forse non la vogliono ma quella è la spia del malcontento». Stefani, che è stato sottosegretario alle Attività produttive, è un fiume in piena: «Insomma, dobbiamo dirlo, dobbiamo gridarlo noi». Che cosa? Di nuovo secessione? «No, ma recessione. Dobbiamo dirlo, siamo in una fase di recessione. La situazione è grave. Gliel'ho detto lunedì a Berlusconi. Lui è caricatissimo ma è inutile che continuiamo a parlare, dobbiamo agire, dobbiamo fare qualcosa. Non si può andare avanti così». Il capogruppo alla Camera Alessandro Cè va oltre: «Bisogna ridurre le tasse, ridurre il costo del lavoro, fare in modo che il risparmio non vada sempre agli stessi ma anche alle piccole e medie imprese». Ma di rottura non si parla. Per ora. Proprio ora che la devolution sembra imboccare la via del voto. Tanto che Francesco Moro quasi canta vittoria: «Questa legislatura doveva essere caratterizzata dal processo riformatore. Dopo due anni, finalmente, cominciamo a parlarne. Il programma della Casa delle Libertà, che si era fondato sulle riforme, entra nel vivo». Ma nel Carroccio c'è chi pensa a dopo. In primis Bossi che ha dato mandato di costituire una task force del suo partito per studiare la questione Cina: «Il nostro segretario ha fatto una provocazione - spiega ancora Stefani -. Ma il problema c'è. La soluzione non saranno i dazi, ma qualcosa dobbiamo fare per difendere i nostri. E la soluzione certamente non è il marchio made in Europe, solo un imbecille può pensare una cosa simile. Casomai è al contrario, difendere la nostra produzione». I bossiani stanno pensando di uscire sul serio dal governo? «Non abbiamo mai smesso di farlo», aggiunge uno che chiede l'anonimato. E se fosse la base a chiederlo? «La base è con noi - risponde Cè -. Non abbiamo un problema di scollamento con i nostri, anzi. Al governo chiediamo alcune cose precise: a differenza di altri nessuna poltrona. Se non le avremo, dovremmo chiaramente riflettere sulla nostra permanenza nell'esecutivo». Una mossa prima delle Europee: «Può darsi, è probabile», replica il capogruppo alla Camera. E ride. F. D. O.